Presidenziali Usa: il primo confronto tra Donald Trump e Kamala Harris
Bugie e verità. Iperboli e fatti. Credibilità delle istituzioni e teorie cospirazioniste. Il primo dibattito televisivo tra l’ex presidente Donald Trump e la vicepresidente Kamala Harris si è giocato sui dualismi. Due idee di paese, quello di Trump in declino e quello della Harris pronto a voltare pagina. Due stili di politica: il candidato repubblicano concentrato sul copione degli attacchi personali, la candidata democratica abile nel punzecchiare l’orgoglio dell’avversario. Il dibattito ha spostato elettori? Non proprio. Ha convinto le rispettive basi elettorali e ha presentato agli Stati Uniti e al resto del mondo Kamala Harris, una vicepresidente rimasta nell’ombra ma che stasera ha chiarito a più riprese che lei “non è Joe Biden”.
Il primo segnale di distanza, anche da quello che Trump ha ripetutamente chiamato “il suo capo”, è stata la stretta di mano iniziale offerta al suo avversario. Kamala Harris si è presentata all’ex presidente poiché non si erano mai incontrati di persona. Ha scavalcato la linea di mezzo del podio, installato al National Constitution Center di Filadelfia, e ha compiuto un gesto che non si vedeva dal 2016, quando ad affrontare Trump era stata l’ex segretario di stato Hillary Clinton.
Si parte dall’economia, tema cruciale per l’elettorato americano e mentre la Harris presenta la sua “opportunity economy” con investimenti su case accessibili, famiglie, credito di imposta per i bambini e finanziamenti alle piccole imprese, Trump impugna immediatamente i suoi temi preferiti: l’inflazione e l’invasione di immigrati. Sono i punti di forza del suo elettorato e sui migranti farà continue incursioni durante tutto il dibattito, minacciando deportazioni di massa, anche quando le domande dei due conduttori della rete ABC, David Muir e Linsey Davis, vertevano su altri temi. Il tycoon si lancia in numeri iperbolici di presenze nel paese, superiori ai censiti 11 milioni e riprende la teoria della cospirazione che circola in questi giorni sui social media: gli immigrati, arrivati a Springfield in Ohio mangiano cani e gatti domestici.
Arriva a questo punto un fact checking in diretta: i giornalisti smentiscono l’ex presidente citando il report di un funzionario della città, dove non viene segnalato nessun caso e nessuna denuncia a riguardo. Anche questa è una prima volta: non era mai accaduto nei dibattiti precedenti che i giornalisti interrompessero uno dei candidati per verificare se le sue dichiarazioni corrispondessero ai fatti.
Una costante della serata è stata la messa in dubbio, da parte del candidato repubblicano, del lavoro svolto da politici locali, dall’Fbi, dalla giustizia, dalle istituzioni internazionali come la Nato, instillando nel pubblico sospetti sulla loro credibilità e professionalità e distruggendo di fatto la fiducia nel sistema democratico e nella sua funzionalità.
Più che i temi che hanno toccato anche la politica estera e le guerre in Medio Oriente, Ucraina e il ritiro dall’Afghanistan, ad incidere sui telespettatori, non era ammesso pubblico dal vivo, è stato il modello di presidenza che spetterà agli Stati Uniti nei prossimi quattro anni. La Harris ha cercato a ogni passo di suggerire che sarebbe stata una leader pragmatica e moderata, rassicurando gli elettori che la volevano impreparata; mentre invece in certi passaggi è stata molto dura, soprattutto in politica estera. Trump ha continuato la versione anfitrione, anche se in vari passaggi il suo orgoglio è stato ferito dalla candidata democratica che gli ha ricordato di “essere stato licenziato da 81 milioni di elettori”, quelli cioè che hanno votato Biden e lei. Le elezioni del 2020 continuano a restare nell’immaginario trumpiano un furto e l’assalto al Campidoglio, un episodio dove il problema sembrava quello delle forze dell’ordine che hanno sparato alla manifestante. Nessuna parola sul trauma e la morte degli agenti che hanno provato a resistere.
Altro tema centrale è stato l’aborto, seconda domanda della serata. Kamala Harris ha iniziato dicendo che “non è necessario abbandonare la propria fede o le proprie convinzioni più profonde per essere d’accordo” e ha aggiunto “il governo e Donald Trump, certamente, non dovrebbero dire a una donna cosa fare del suo corpo”.
Ha attaccato l’ex presidente sulla scelta di giudici della Corte Suprema che hanno lasciato ad ogni stato decidere la propria politica e ha assicurato che se il Congresso votasse una legge a riguardo, la firmerebbe immediatamente. Non ha parlato dei tempi di aborto che tale legge dovrebbe consentire, mentre su questo punto Trump ha cavalcato l’onda dicendo che i democratici ammettono aborti fino al 9 mese e quando un bambino nasce vivo, sono favorevoli alla sua uccisione. La giornalista Linsey Davis è intervenuta per confutare la falsa affermazione, in un fact checking in diretta, che si è ripetuto più volte nella serata. Trump non si è voluto impegnare a firmare un bando dell’aborto a livello federale e non ha risposto, consapevole che se da un lato gli evangelici si aspettano questa decisione, dall’altro questo impegno potrebbe alienargli la simpatia delle elettrici.
Il dibattito si è concluso con Harris che invitava gli elettori a cambiare pagina e offriva un piano per farlo; mentre Trump ha scelto di accusare l’avversaria di non aver fatto abbastanza per salvare l’America dal declino. Pochi minuti dopo che le luci si sono spente, la campagna di Harris ha chiesto un secondo dibattito, mentre molti analisti repubblicani hanno contestato la performance di Trump, soprattutto gli attacchi personali alla candidata dem sulla razza. Intanto solo nella prima ora di dibattito, Harris ha guadagnato 7 milioni di dollari, da donatrici donne per il 71% e 30 minuti dopo la chiusura la pop star Taylor Swift ha affidato ad Instagram il suo supporto inequivocabile alla vicepresidente, dopo che immagini fake, generate dall’IA, la mostravano tra i supporter di Trump.