Crisi energetica

Comunità energetiche, Nerozzi (Settimane sociali): “Le parrocchie sono pronte e in attesa di condizioni normative per partire”

Il seme gettato a Taranto sta fruttificando. “Oltre ad essere un’opportunità a livello pastorale, le comunità energetiche sono un’occasione di inclusione sociale e di lotta alla povertà energetica”

13 Mar 2023

di Alberto Baviera

“Quello delle comunità energetiche è diventato un progetto della Chiesa italiana. Sono un’opportunità a livello pastorale ma anche per la partecipazione della Chiesa e dei cristiani alla transizione energetica. Il seme gettato a Taranto sta fruttificando. Rimaniamo in attesa che diocesi e parrocchie possano finalmente partire nel dare concretezza ai loro progetti quando ci saranno tutte le condizioni necessarie”. Così Sebastiano Nerozzi, professore associato di Storia del Pensiero economico all’Università Cattolica del Sacro Cuore e segretario del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici in Italia, facendo il punto sulle comunità energetiche. È bene ricordare che sono gruppi di persone che si uniscono per autoprodurre energia elettrica da fonti rinnovabili e fornire benefici ambientali, economici e sociali nei territori, contribuendo sia al raggiungimento delle soglie di decarbonizzazione fissato dall’Unione europea per il 2030 sia al rafforzamento del percorso verso la sicurezza energetica dell’Italia voluta dall’attuale governo.

Professore, le comunità energetiche sono state la prima delle quattro piste d’impegno proposte al termine della 49ª Settimana sociale di Taranto, nell’ottobre 2021. L’obiettivo era quello che le comunità dei fedeli in tutte le parrocchie italiane avviassero un progetto per diventare comunità energetiche. A che punto siamo?
Il cammino è iniziato a Taranto, con grandi aspettative e grande preveggenza. Il decreto legislativo 199/2021 è successivo alla 49ª Settimana sociale. Il processo legislativo che doveva compiersi in pochi mesi si è poi rivelato molto più lungo del previsto ed è ancora in essere e l’apparato normativo non è ancora interamente definito. Stiamo aspettando che la bozza di decreto notificata alla Commissione Ue venga esaminata per capire se sarà approvata così com’è o andrà modificata. C’è quindi ancora uno spazio di incertezza. Ma, chiarito questo,
dal punto di vista ecclesiale abbiamo riscontrato grande interesse. La chiamata a realizzare delle comunità energetiche è diventata consapevolezza comune di tante Chiese locali, di tanti vescovi, sacerdoti e laici.

Dopo circa un anno e mezzo dall’avvio del progetto come si è andata concretizzando la risposta nelle diverse realtà ecclesiali italiane?
L’indagine realizzata ad ottobre scorso dall’Istituto Ipsos – attraverso un’intervista ai referenti per la Pastorale sociale e del lavoro e agli economi di 220 diocesi a cui hanno risposto da 80 realtà – ha messo in evidenza una grande attenzione e un grande interesse verso le comunità energetiche. In molti casi sono stati i laici quelli che hanno sollecitato iniziative in questo senso.
In alcune diocesi si sono fatti ulteriori passi, passando alla realizzazione di incontri formativi sul tema, e in alcuni casi si sono intraprese iniziative di natura progettuale. Oggi siamo di fronte ad una situazione abbastanza variegata nel Paese, perché alcune diocesi hanno già ricevuto finanziamenti come a Cremona – per 4 comunità energetiche in 4 parrocchie insieme a Comuni e associazioni –, o a Verona, dove l’Associazione diocesana opere assistenziali (Adoa) ha messo in rete tutte le strutture assistenziali, o ancora a Lucca, dov’è partita una sperimentazione su 4 parrocchie. Sintetizzando, direi che c’è stata una buona risposta, c’è molto movimento ma ancora non ci sono condizioni normative per poter attivare gli investimenti. Una serie di cose, però, le diverse realtà possono farle: avviare cammini di formazione e percorsi di discernimento per capire che tipo di comunità energetica costituire, raccogliere l’adesione dei cittadini e individuare dei partner tecnici.
Questi passi non implicano ancora alcun investimento e non si corre il rischio di ricadere in eventuali esclusioni che dovessero essere previste nel decreto.

A livello nazionale come ci si è mossi?
A ottobre in Cei è partito un Tavolo tecnico che riunisce l’Ufficio giuridico, l’Economato, la Caritas, l’ufficio per la Pastorale sociale e il lavoro, il comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali: il Tavolo ha non solo il compito di studiare tutti gli aspetti tecnici, pastorali, giuridici ed economici al fine di dare alle diocesi informazioni ben precise ma anche di interloquire con le Istituzioni (ministero e Arera) per far sentire in quel contesto la voce della Chiesa e dell’associazionismo cattolico.
L’obiettivo è anche quello di evitare che in una materia così complessa come le comunità energetiche si vada in ordine sparso; c’è il rischio di commettere errori, anche di natura economica e finanziaria. A questo si è affiancato un lavoro per accompagnare le diocesi nei processi decisionali e per censire le realtà che si sono già mosse. Negli scorsi mesi abbiamo incontrato una ventina di realtà e diocesi; sono probabilmente la punta dell’iceberg e non è poco, considerato che non abbiamo ancora un quadro normativo definito.
È poi in elaborazione un vademecum che verrà aggiornato ogni qualvolta interverranno cambiamenti: nel documento verranno segnalati tutti i bandi a cui si potrà partecipare nelle diverse Regioni. Vuole essere un tentativo con il quale aprire una finestra e dare una bussola che permetta di orientarsi in una materia che presenta aspetti tecnici e giuridici di non poco conto.

L’aggressione russa dell’Ucraina ha messo in luce quanto la dipendenza energetica dalle fonti fossili (e in particolare dal gas) condizioni la nostra vita e il nostro portafoglio. Al di là dell’aspetto economico, quali altri vantaggi sono associati alla costituzione di una comunità energetica?
Le comunità energetiche sono un’opportunità a livello pastorale ma anche per le partecipazione della Chiesa e dei cristiani alla transizione energetica; sono anche un’occasione di inclusione sociale e di lotta alla povertà energetica che, ormai sappiamo, tocca quasi l’8% degli italiani.
Un tema molto sentito, anche perché alla povertà energetica si affiancano altre forme di disagio. Le comunità energetiche, per come le abbiamo proposte anche nelle sedi istituzionali, sono un luogo in cui si fa condivisione e inclusione sociale. E poi forniscono l’opportunità per parrocchie e diocesi per creare ulteriori reti sui territori, testimoniando l’idea di una comunità che non è vicina solo negli aspetti pastorali e spirituali ma che condivide anche un impegno su questioni che toccano la quotidianità non solo dei più poveri ma di tante famiglie, alle prese nell’ultimo anno con difficoltà per i costi delle bollette, che magari vorrebbero contribuire in prima persona ad un cambiamento di stili di vita nell’ottica della conversione ecologica ma a volte non sanno come fare.

Quale suggerimento si sente di dare a quelle realtà che stanno maturando interesse verso le comunità energetiche? Quali i primi passi da compiere?
In tutti questi mesi abbiamo incoraggiato percorsi di formazione e discernimento; è necessario per prima cosa prendere informazioni basilari su cosa sono le comunità energetiche, la condivisione e l’autoconsumo di energia. Fondamentale è poi capire quali attori sul territorio possono essere i promotori della comunità energetica individuando quali alleanze si possono creare (tra parrocchie, Comuni, istituti scolastici, centri sportivi, piccole imprese…); così com’è importante fare una lettura dei bisogni del territorio e raccogliere adesioni da parte dei cittadini; infine occorre coinvolgere un tecnico per ottenere una stima delle dimensioni della comunità energetica, del tipo di investimenti necessari e di quali ritorni si possono avere. Al momento, gli incentivi hanno durata ventennale, più o meno quella dei pannelli se si sceglie un impianto fotovoltaico; grazie ai risparmi ottenuti sull’acquisto dell’energia elettrica, ai ricavi della vendita dell’energia prodotta e condivisa, e agli incentivi offerti dal Gse, gli investimenti effettuati possono essere recuperati in tempo di circa 5-6 anni e per i restanti 14-15 anni durano i benefici. Tanto è più forte la capacità della comunità di impegnarsi in prima persona nell’investimento iniziale, tanto è maggiore il vantaggio che si ha nel corso del tempo. In ogni caso, per via dell’indefinitezza normativa, in questo momento è raccomandabile non assumere impegni economici.

Forse nessuno si sarebbe aspettato che l’attesa dell’impianto normativo finisse per essere il principale freno allo sviluppo del progetto. Cosa non vi ha convinto e cosa auspicate possa cambiare?
Ci sono alcuni elementi che, per come vanno configurandosi, destano qualche preoccupazione. L’attuale bozza di decreto fissa un contingente di 5 GW di potenza installata come totale degli interventi incentivati; è un massimale che copre una parte limitata del potenziale di sviluppo delle comunità energetiche e rappresenta una frazione non ingente del totale di GW di potenza da fonti rinnovabili che dovremmo raggiungere per centrare gli obiettivi di transizione energetica fissati in sede europea; un contingente così basso potrebbe indurre l’impressione che non si voglia dare allo strumento delle comunità energetiche il giusto credito come strumento capace di accelerare la transizione oppure che l’obiettivo stesso non sia perseguito con la necessaria determinazione. Un secondo aspetto è che le comunità energetiche rinnovabili (Cer) sono uno strumento importante, ma per noi è necessario definire meglio i caratteri delle Cers (comunità energetiche rinnovabili e solidali) per le quali abbiamo chiesto sia introdotta una ulteriore premialità rispetto alle altre Comunità energetiche in modo da poter svolgere in condizioni di parità attività di lotta alla povertà energetica e di inclusione sociale.
Infine, chiediamo si intervenga sulla logica dello scorporo in bolletta degli incentivi per ogni singolo cittadino; la possibilità di ottenere individualmente gli incentivi rischia di collidere con la natura della comunità energetica e minare la sua sostenibilità economica. Una comunità non è semplicemente la somma di tanti individui; l’attuale meccanismo di scorporo tende a rendere una Cer una forma commerciale come le altre. Secondo noi dev’essere la comunità a gestire le risorse, in modo equo e senza danneggiare nessuno.

Quali iniziative o appuntamenti avete in programma nel prossimo futuro?
Una serie di diocesi stanno muovendo i primi passi: attendiamo la maturazione di questi percorsi per poter individuare e condividere alcune “best practices” che possano essere d’ispirazione anche per le altre realtà. In secondo luogo, appena sarà pubblicato il decreto presenteremo insieme ad Enea il modello di valutazione preliminare disponibile online: uno strumento “user friendly” utile a diocesi e parrocchie per capire, attraverso una simulazione, la dimensione ottimale della comunità energetica, la natura dell’investimento e i tempi di rientro. Inoltre, è auspicabile che nella 50ª Settimana sociale dei cattolici in Italia, che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024, le comunità energetiche abbiano un loro spazio di visibilità e di confronto. Non è escluso che un domani ci possa poi essere una Conferenza delle comunità energetiche nate in ambito ecclesiale. Il tema della Settimana sociale sarà “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.

Le comunità energetiche sono una delle nuove forme di partecipazione sociale che consentono, agendo a livello locale, di incidere sui grandi processi che riguardano il pianeta. Un tema che oggi più che mai richiede cura, ascolto e capacità generativa.

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