Grande entusiasmo in Concattedrale per la cerimonia di imposizione del Pallio all’arcivescovo Miniero
Alcuni scatti significativi della serata sono in chiusura dell’articolo.
Grande entusiasmo domenica sera in concattedrale per la cerimonia di imposizione del Pallio all’arcivescovo mons. Ciro Miniero, per mano del Nunzio apostolico mons. Petar Rajič. Alla celebrazione erano presenti mons. Vincenzo Pisanello, vescovo di Oria, mons. Sabino Iannuzzi, vescovo di Castellaneta, mons. Salvatore Ligorio, arcivescovo emerito di Potenza, mons. Angelo Panzetta, arcivescovo coadiutore di Lecce e mons. Davide Carbonaro, arcivescovo di Potenza.
Sono intervenuti il prefetto Paola Dessì, una rappresentanza di sindaci del territorio (per il sindaco di Taranto, il suo vice Gianni Azzaro) e numerose autorità civili e militari oltre a una folta comitiva proveniente da Vallo di Lucania, la precedente diocesi guidata da mons. Miniero.
Il pallio fu consegnato al nostro arcivescovo e ad altri vescovi il 29 giugno, festa dei Santi Pietro e Paolo, nella basilica di san Pietro da papa Francesco, con la disposizione che la cerimonia di imposizione avvenisse nelle diocesi di appartenenza.
Si tratta di un paramento liturgico costituito da una stretta striscia di stoffa di lana bianca incurvata al centro. Simbolo del Buon Pastore e dell’Agnello crocifisso per la salvezza degli uomini, esso indica un legame speciale con il papa ed esprime, inoltre, la potestà che, in comunione con la Chiesa di Roma, l’arcivescovo metropolita acquista di diritto nella propria giurisdizione.
“Vorrei che tutta la comunità – ha detto nel messaggio alla diocesi – intensifichi il cammino che già compie da tempo con impegno, spendendo le migliori energie, avendo particolarmente a cuore due ambiti: l’evangelizzazione come urgenza ed esigenza della Chiesa (non siamo Chiesa se non evangelizziamo!) privilegiando l’attenzione al mondo delle povertà, confermando il nostro impegno nella cura della casa comune (non dobbiamo dimenticare ciò che la Laudato Si’ e la Laudate Deum devono significare per la nostra terra)”.
“Guardo ai numerosi segni di bene che sono presenti nella nostra arcidiocesi: – ha continuato – la vitalità delle parrocchie, il tesoro della devozione popolare, gli sterminati talenti che riscontriamo nelle nostre comunità, la grande generosità e accoglienza della nostra gente. Davanti a questa messe biondeggiante, fiduciosamente voglio aprire quest’anno pastorale con una domanda semplice e diretta: «Chiesa di Taranto, come vuoi continuare a seguire Gesù Cristo? Vuoi essere sua discepola guardando con speranza in avanti?». È solo dalla nostra risposta che dipendono la bontà e i frutti del nostro cammino fin dai primi passi”.
Mons. Miniero ha auspicato che si cominci a superare la categoria con la quale si definiscono i vicini e i lontani dalla comunità. “Spesso – ha riferito – non sono le persone ad essere lontane da noi, ma la Chiesa è lontana da tanti. Intrappolati da meccanismi di autopreservazione e talvolta di autoreferenzialità, ci ritroviamo ad essere incapaci di dialogare con il mondo perché anacronistici o più semplicemente inesperti di umanità. Questo non significa ricorrere solo a nuovi modelli comunicativi o a renderci in qualche modo più appetibili attraverso le più bizzarre manifestazioni di presunta vicinanza”.
Egli ha ricordato come in questi anni la parola della Chiesa tarantina è stata particolarmente attesa e puntuale circa le grandi questioni ambientali e sociali: continuerà ad esserlo e cercherà non solo di stimolare le coscienze sulle annose questioni che sembrano mai risolversi, ma soprattutto cercando di evangelizzare questi ambiti attraverso l’azione dei credenti attenti al mondo delle nostre povertà, seguendo l’invito pressante di papa Francesco. “Urge una nuova riflessione che generi fatti concreti circa la conoscenza delle povertà nella nostra città e nella nostra diocesi – ha sottolineato – Credo che l’apporto della Chiesa non possa essere esclusivo ma è necessario e cogente”.
L’arcivescovo ha inoltre chiesto alle parrocchie di rinunciare alla pretesa, ormai utopica, di essere autosufficienti. “Il lavoro delle vicarie –ha detto – sarà proprio quello di individuare percorsi vicariali ed interparrocchiali capaci di condividere e di partecipare attività comuni di evangelizzazione. Non tutte le parrocchie riescono a fornire, ad esempio, percorsi di pastorale giovanile o di catechesi degli adulti. Sono a conoscenza di esperienze virtuose del servizio interparrocchiale delle Caritas, ma non basta. Credo che bisogni attivare anche occasioni interparrocchiali per formare i laici all’annuncio nelle famiglie, nei condomini, nei luoghi di lavoro. Lasciamo che lo Spirito animi le nostre parrocchie imprimendo novità e bellezza. Basterebbe, per cominciare a vivere a pieno l’esperienza sinodale, porsi queste domande in programmazione o in verifica di ogni attività: «Lo abbiamo realizzato insieme?», «Abbiamo camminato insieme?», «Insieme a chi?». Camminare insieme è la sostanza della comunità, il significato della sinodalità”.
Dopo aver preso atto con dolore della chiusura di comunità religiose nella nostra arcidiocesi per assenza di vocazioni, condividendo con gli altri vescovi pugliesi l’apprensione per la caduta verticale del numero dei seminaristi nel seminario regionale di Molfetta, l’arcivescovo ha ricordato l’apertura del Giubileo nella cattedrale di San Cataldo per il 29 dicembre. “Essenziale sarà per noi vivere con fervore il sacramento della Riconciliazione, facendo di essa lo stile permanente della nostra famiglia ecclesiale – ha concluso – Ai sacerdoti dico che bisogna ritornare nel confessionale, non solo su richiesta dei fedeli ma bisogna lasciarsi trovare ad accogliere chi ha il cuore ferito. Nella cattedrale e nelle chiese giubilari i vicari foranei si adoperino perché ci sia sempre qualcuno a confessare. Tocca ai presbiteri dispensare a mani larghe la Misericordia di Dio ma non solo”.