Diocesi

Padre Jalal Yako a Taranto per la Festa piccola della confraternita Ss Addolorata

Il padre rogazionista ci parla del progetto di “un ponte” di fratellanza con i cristiani che soffrono in Iraq

25 Mar 2023

di Silvano Trevisani

Era un’espressione gergale, ma ora “La festa piccola della confraternita” – dove per confraternita si intende la Ss Addolorata e San Domenico – identifica l’appuntamento quaresimale, nel Venerdì di Passione, “Sette dolori di Maria”.
Quest’anno, venerdì 31 alle ore 18.30, nella chiesa di San Domenico in città vecchia, l’evento vedrà la speciale testimonianza di padre Jalal Yako, rogazionista, originario dell’Iraq, che fa parte di Acs, Aiuto alla Chiesa che soffre, opera di carità e riconciliazione attiva dal 1947.
Abbiamo raggiunto padre Jalal Yako telefonicamente ad Assisi, dove da un anno lavora come parroco e dove ha messo a punto un progetto: “Assisi – Un ponte di fratellanza”.

Quanti sono i cristiani perseguitati nel mondo? Secondo il rapporto Open Doors circa 360 milioni, ovvero: uno ogni sei credenti. Sono molti i paesi i cui professare la fede cristiana è molto pericoloso: dalla Corea de Nord all’Africa subsaharina, ma è nei paesi islamici, soprattutto in Medioriente, che la loro situazione è diventata più drammatica a partire dall’esplosione del fondamentalismo islamico. Come in Iraq.

Padre Jalal, ci vuoi parlare, innanzitutto, delle tue origini e delle tue esperienze?
Sono nato e cresciuto a Qaraqosh nel Nord dell’Iraq da una famiglia cristiana. Dopo aver fatto due anni di leva militare sono entrato nei padri rogazionisti in Iraq e poi ho completato il mio percorso nella Lateranense di Roma. Nel 2005 sono stato ordinato sacerdote e ho conseguito la specializzazione in teologia fondamentale. Sono stato in diversi posti in Italia come vice parroco. Sono tornato in Iraq per quasi nove anni, nella mia comunità di padri rogazionisti dal 2012 al 2020, a Mosul, nei tempi più difficili e movimentati dell’Iraq, per l’arrivo dell’Isis e ciò che ne è scaturito: minacce, attentati, violenze. Siamo stati costretti a rifugiarci per tre anni nel campi profughi della città di Erbil. Dopo la liberazione delle nostre città siamo tornati per ricostruire, trovandoci di fronte a una situazione disastrosa, con le nostre case, le chiese, i simboli religiosi distrutti e bruciati. È stato necessario un lavoro enorme, ma la Provvidenza si è fatta viva. Le cose sono un po’ cambiate, ma è per noi sempre una vita rischiosa.

Poi sei tornato in Italia.
Sì, nel 2020 e poi a più riprese. Ora sono qui ad Assisi da un anno come parroco e ho vissuto la visita del Papa, che è stata provvidenziale. A seguito di quell’esperienza abbiamo messo in piedi un progetto: “Assisi – Ur ponte di fratellanza per il dialogo interreligioso”. Prossimamente tornerò in Iraq per dare inizio a questo ponte di fratellanza, con la collaborazione di Assisi e altre comunità. Quello che ha seminato papa Francesco in Iraq bisogna portarlo avanti.

Ma ancora fino ai tempi di Saddam la convivenza dei cristiani in Iraq era possibile.
La convivenza era pacifica. I cristiani erano benvoluti per il proprio comportamento, per la cultura della pace e della convivenza che hanno sempre esercitato, e lo stesso Saddam ne era consapevole dal momento che il suo vice; Tarek Aziz era cristiano, come tutti i suoi diretti collaboratori di cui aveva fiducia. Ma i suoi gravissimi errori sono stati drammatici per tutto il Paese.

Quanti sono i cristiani in Iraq?
Fino alla caduta di Saddam, nel 2003, erano un milione e mezzo. Ma via via si sono ridotti, per sfuggire a persecuzioni, discriminazioni, sequestri, e oggi sono poco più di 250.000. Tra il 2003 e il 2010 i cristiani, assieme alle altre minoranze, hanno subito la violenza dei fondamentalisti. Il 31 ottobre 2010 nella cattedrale di Nostra Signora a Bagdad avvenne una vera e propria carneficina durante la messa.

E oggi com’è a situazione?
Una certa stabilità è stata raggiunta ma è fragile. Non vi è una vera indipendenza per via della politica filoiraniana. I cristiani che sono voluti restare continuano a testimoniare la propria fede, come pure le altre minoranza, ma vi sono ancora i gruppi filoiraniani che vogliono occupare i loro posti scacciandoli, come avviene nella piana di Ninive. Proprio una settimana fa uno di questi gruppi li ha attaccati e ciò li rende insicuri.

Invece in Siria, secondo autorevoli testimonianze, Assad è stata una garanzia per la sopravvivenza delle comunità cristiane. É vero?
Devo ammettere che è proprio così. In Siria i cristiani erano molto più numerosi e convivevano da sempre in modo pacifico. È stato l’arrivo dell’Isis, anche dalla Turchia, che ha reso instabile l’area. Ne hanno fatto le spese soprattutto i cristiani: molte comunità di quei territori sono state cancellate. Quando c’era Assad effettivamente c’era stabilità in quei territori che io ho visitato, anche perché ho un mio parente, un francescano, che è in Siria e che vede la presenza dei cristiani costantemente minacciata, e per questo è diminuita di molto.

I cristiani continuano a essere perseguitati in tanti Paesi, forse noi non abbiamo un’idea precisa.
È così, anche nei paesi che sembrano “normali” vi è spesso una persecuzione “invisibile”. In molti paesi, come lo stesso Egitto, i cristiani pagano soprattutto dopo l’arrivo dei fondamentalisti. Molte volte la legge stessa crea problemi: in genere proibisce, ad esempio, la conversione dei musulmani al cattolicesimo, o obbliga il coniuge cristiano che sposa un musulmano a diventare di fatto musulmano comunque a educati i figli all’Islam. Io conosco tanti che, avendo sentito la spinta alla conversione sono dovuti scappare.

Cosa possiamo fare noi cattolici italiani?
La Chiesa ha fatto molto per i cristiani perseguitati e io ho vissuto la sua presenza anche nei campi profughi. Aiuto alla Chiesa che soffre ha fatto tanto anche per la ricostruzione e il ritorno alla normalità, e oggi continua ancora a dare il proprio sostegno. È importante non dimenticare, anche nella preghiera, quei cristiani che in quei paesi parlano da millenni la lingua di Gesù. La loro presenza non si deve spegnere perché l’annuncio del Vangelo deve continuare. Occore lavorare prima di tutti per essere accanto a quella popolazione, riscoprire la Terra santa, dove avuto origine la nostra fede, a partire da Ur dei Caldei, da dove è partito il nostro padre Abramo

Come si svilupperà il progetto “Assisi Ur”?
Il progetto per “un ponte di fratellanza” intende promuovere l’interscambio tra piccoli gruppi per metterli in contatto, per scoprire quella terra, anche attraverso il pellegrinaggio in Iraq anche insieme a gruppi di altre religioni. Riscoprire la fratellanza attraverso il pellegrinaggio, secondo l’insegnamento di papa Francesco: camminare insieme come figli dell’unico Dio. Nell’ottobre scorso c’è stata una prima esperienza, nell’ottobre prossimo vi sarà un nuovo pellegrinaggio proprio per camminare insieme sulle orme di Francesco per la fratellanza dei popoli e delle religioni.

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