La domenica del Papa – Apertura, comunione, testimonianza
Dolore e tanta preoccupazione per il Libano. Le parole del Papa all’angelus al termine della messa, celebrata a Bruxelles nello stadio intitolato a Re Baldovino, fanno eco a quanto detto nell’incontro con le autorità e la società civile due giorni prima, ovvero “siamo vicini a una guerra quasi mondiale”. Il Libano è un “messaggio” dice Francesco, messaggio di collaborazione, di dialogo, anche di convivenza tra le diverse realtà religiose presenti nel paese dei cedri, come hanno sempre ricordato i papi che lo hanno visitato; ma oggi “è un messaggio martoriato e questa guerra fa effetti devastanti sulla popolazione: tante, troppe persone continuano a morire giorno dopo giorno, in Medio Oriente”.
Chiede preghiere per le vittime, le loro famiglie; preghiere perché ci sia pace e perché tutte le parti in conflitto cessino “immediatamente il fuoco in Libano, a Gaza, nel resto della Palestina, in Israele. Si rilascino gli ostaggi e si permetta l’aiuto umanitario”. Non dimentica il pontefice l’Ucraina, il Sudan, il Myanmar, e “tutte le terre ferite dalla guerra”.
Angelus a conclusione della visita nella nazione il cui sovrano cattolico abdicò per 36 ore, nel 1992, per non firmare la legge sulla legalizzazione dell’aborto: “al mio rientro a Roma avvierò il processo di beatificazione di Re Baldovino”, afferma il papa.
Ma veniamo alla riflessione sulle letture di questa domenica. Il cammino verso Gerusalemme per Gesù è anche occasione di proporre ai discepoli insegnamenti e prepararli per gli avvenimenti che accadranno nella città santa. In un tempo come il nostro in cui i segni sono troppi e spesso confusi, un mondo povero di certezze stabili, dobbiamo riconoscere che spesso è molto forte la difficoltà di scegliere la via da intraprendere. Le letture di questa domenica ci offrono dei criteri guida. Sia nel brano tratto dal libro dei Numeri, Antico Testamento, sia nel Vangelo, il fil rouge che lega i due testi è mai considerare il dono di Dio un privilegio esclusivo. Allora tre parole dal Papa: apertura, comunione, testimonianza.
“La Comunità dei credenti – dice Francesco spiegando la prima parola – non è una cerchia di privilegiati, è una famiglia di salvati, e noi non siamo inviati a portare il Vangelo nel mondo per i nostri meriti, ma per la grazia di Dio, per la sua misericordia e per la fiducia che, al di là di tutti i nostri limiti e peccati, egli continua a riporre in noi con amore di Padre, vedendo in noi quello che noi stessi non riusciamo a scorgere”. il credente deve svolgere la propria missione “con umiltà, gratitudine e gioia” e non deve essere di scandalo né di ostacolo a nessuno “con la nostra presunzione e la nostra rigidità”.
Quindi comunione. “L’unica via della vita è quella del dono, dell’amore che unisce nella condivisione”. L’egoismo, come leggiamo in Giovanni, “genera solo chiusure, muri e ostacoli”; è “scandaloso”, come tutto ciò che impedisce la carità, “perché schiaccia i piccoli, umiliando la dignità delle persone e soffocando il grido dei poveri”. Si crea così un mondo in cui “non c’è più spazio per chi è in difficoltà, né c’è misericordia per chi sbaglia, né compassione per chi soffre e non ce la fa”. Ricorda il dramma degli abusi e dice: “nella Chiesa c’è posto per tutti, ma tutti saremo giudicati e non c’è posto per l’abuso, non c’è posto per la copertura dell’abuso. Chiedo a tutti: non coprite gli abusi! Chiedo ai vescovi: non coprite gli abusi”.
Non si può poi ignorare il “grido dei poveri”, afferma ancora il Papa, né si può cancellare come se fosse “la nota stonata nel concerto perfetto del mondo del benessere”, né basta “qualche forma di assistenzialismo di facciata”. Se vogliamo seminare il futuro, “anche a livello sociale e economico”, dice Francesco, dobbiamo mettere alla base delle nostre scelte il Vangelo della misericordia: “tutti noi siamo stati misericordiati”.
La nuova beata Anna di Gesù, “in un tempo segnato da scandali dolorosi, dentro e fuori la comunità cristiana”, ha testimoniato la sua fede con una vita “semplice e povera, fatta di preghiera, di lavoro e di carità”. È il modello di “santità al femminile” da accogliere per il Papa.