L’Italia esporta i suoi talenti migliori ma attrae soltanto i turisti stranieri
I preoccupanti dati della Fondazione Sud-Est
L’Italia sarà presto solo un luna park per ricchi turisti stranieri. I giovani scappano via a centinaia di migliaia e solo pochi vogliono tornare. E questo riguarda sia il Sud povero che il Nord opulento. Le città grandi e medio-grandi, poi, sono del tutto off-limits e anche gli studenti meridionali che avevano scelto Milano, Firenze o Roma stanno progressivamente trasferendosi in altre città meno afflitte dall’overturism. Tra le quali si candidano anche le città pugliesi. È soprattutto questo fenomeno che fa sparire o levitare la massimo i prezzi delle case e che fa salire alle stelle quelli di generi alimentari e servizi e che aggrava le distanze tra i ricchi (tra i quali cresce il numero di chi sfrutta il turismo) e i poveri, tra i quali i giovani studenti che sono sempre più penalizzati. Per ogni giovane che arriva in Italia ben otto vanno via, più della metà dei quali per sempre. E questo provoca un danno economico calcolato attorno ai 135 miliardi di euro. Anche per questo i dati taroccati fanno vedere una disoccupazione in calo e una riduzione della disoccupazione giovanile: solo perché in circa 10 anni oltre mezzo milione di giovani, quasi sempre laureati, non cerca più lavoro in Italia. Dove il lavoro specializzato è poco ma soprattutto è pagato malissimo rispetto al resto dell’Europa. Tra i paesi occidentali, l’Italia è all’ultimo posto per attrattività: solo l’8%, rispetto al 43% della Svizzera e al 32% della Spagna. In Italia, quindi, è solo la patria del divertimento, ma lo è soprattutto per gli stranieri: gli italiano non se la possono più permettere!
Questa realtà, già ben nota a chi si occupa di economia, politica, lavoro, è stata ancora una volta ribadita dallo studio che la Fondazione Nord Est ha presentato al Cnel.
I dati dello studio
Secondo lo studio, in tredici anni, dal 2011 al 2023, circa 550mila giovani italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. “Ma il deflusso reale è tre volte più grande e alimenta la competitività e la crescita degli altri Paesi europei”, ha spiegato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione “Nel movimento di giovani persone tra i paesi europei l’Italia partecipa da grande fornitrice di persone ed è quindi fuori dalla circolazione di talenti perché è ultima per attrattività. È pericoloso continuare a cullarsi nella favola bella che facciamo parte di quella circolazione, perché vuol dire fingere che la bassa attrattività non esista. L’emigrazione dei giovani italiani non solo rende più difficile per le imprese la ricerca di persone da assumere ma accentua enormemente il mis-match tra domanda e offerta di competenze”.
Perché l’estero
Molti vanno via per ricercare migliori opportunità lavorative (25%), ma anche per studio e formazione (19,2%) e per cercare una qualità di vita più alta (17,1%). Il 10% invece è alla ricerca di un salario più alto. E questo accade, diversamente da quanto si potrebbe immaginare, soprattutto al Nord Italia, dove il 35% dei giovani residenti è pronto a trasferirsi all’estero. Secondo il rapporto, quasi l’80% dei expat è occupato, contro il 64% di chi è rimasto. E stiamo parlando del Nord, figurarsi cosa accade per il Sud!
Siamo entrati in una fase critica di carenza e fuga di giovani dal Paese, che si accompagna alla gravissima denatalità che caratterizza, in modo lievemente diverso, tutte le regioni d’Italia. Anche quelle che hanno bisogno di lavoratori, non fanno figli ma non vogliono gli emigrati. O meglio: li vorrebbero tutti “bianchi”, per via dell’insinuante razzismo che trova sponda in una parte consistente della politica. Eppure, il 58,2% di chi è andato a lavorare all’estero svolge ruoli che nel nostro Paese le aziende faticano a ricoprire. Si tratta di professioni qualificate nei servizi, operai specializzati e semi-specializzati, personale senza qualifica. I giovani, quindi, scarseggiano per le imprese, mancano nel sistema della pubblica amministrazione e mancheranno sempre di più.
Le sensazioni
“Insensibilità e immobilismo sono scandalosamente inaccettabili”, ha commentato persino il presidente del Cnel Renato Brunetta, dopo la presentazione dei dati.
Il benessere percepito, la visione del futuro e la condizione professionale sono i fattori che spiegano perché il 33% degli expat intende rimanere all’estero, a fronte del 16% che prevede di tornare in Italia, principalmente per motivi familiari. Inoltre, il 51% dei professionisti all’estero è aperto a trasferirsi dove si presenteranno le migliori opportunità lavorative. È significativo che l’87% degli expat giudichi positivamente la propria esperienza all’estero. La ragione principale per cui decidono di non tornare in Italia è la mancanza di opportunità lavorative simili nel paese. A questa si aggiungono opinioni diffuse sulla scarsa apertura culturale e internazionale dell’Italia, oltre alla percezione di una qualità della vita superiore negli altri paesi.