Più una smania che una realtà
Non è, così come ha capito un nonagenario vicino di casa, il nome di un cane. Brics è un raggruppamento di varie economie mondiali emergenti, formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica a cui, poi, si sono aggiunti Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti (nel 2024). Questi paesi condividono una situazione economica in via di sviluppo e pregevoli risorse naturali: si propongono di costruire un sistema commerciale e finanziario attraverso accordi bilaterali non basati sul dollaro. Solo cinque in origine, i Brics si sono moltiplicati e si avviano a divenire molti: già oggi potrebbero diventare trenta o quaranta. Ma questo raggruppamento suscita più perplessità che speranze. Sorto in chiave anti-Stati Uniti ma, soprattutto, in chiave anti-dollaro, il rischio è che si potrebbe arrivare a un cambiamento di facciata restando ancorati al dollaro come termine di paragone. È quanto venuto a galla alla fine del sedicesimo vertice annuale del 2024 tenutosi a Kazan, nel Tatarstan – Russia – dal 22 al 24 ottobre. È possibile una alleanza globale? I paesi europei sono interamente incollati agli Stati Uniti perché ne ricavano favori in termini militari. Almeno in passato, gli Usa sono stati il migliore alleato e protettore possibile: discreto, generoso (si accollava tutte le spese), e altruista, quando ha fatto morire i suoi soldati per difendere questo o quello. Che questa convenienza ci sia stata, lo attesta il fatto che gli alleati sono spaventati per un Trump sostenitore dell’isolazionismo. Ecco la domanda cruciale: ai Brics, quand’anche fossero quaranta, quali vantaggi offrirebbe l’alleanza? Una crescita del raggruppamento e l’ambizione a divenire un organismo multilaterale politico: queste sono le speranze di chi il pianeta lo vorrebbe governare con le sue regole, cioè la Cina e la Russia. Un fatto è certo: non ci sono enormi confluenze culturali ed economiche fra quei paesi. Sotto il tappeto di abbracci, sorrisi, baci, ritratti di gruppo e strette di mano a favore di telecamere, ci sono antiche ruggini. Fra marzo e settembre 1969 ci furono una serie di scontri armati fra Cina e Unione Sovietica: fra loro un vecchio antagonismo. L’ostilità fra Cina e India è da sempre nota. Il Brasile si farà sempre gli affari suoi. Il Sudafrica è corrotto, in decadenza, e, ora, ha molto più bisogno di essere aiutato e guidato di quanto non ne avesse ai tempi dell’apartheid. Ma questi paesi in tanto aderiscono al raggruppamento, perché sperano, in cuor loro, di ricavarne qualcosa. E se qualcuno riceve, qualcuno deve donare. Ma di benefattori non ce ne sono proprio. La Russia, povera di suo, non ha mai dato nulla, ai paesi dominati, fino a farsi odiare da tutti. La Cina ha mentalità commerciale, e vuole fare affari. Perciò niente regali per nessuno. Si può incassare qualcosa dalla liberalizzazione degli scambi per il principio dell’utilità dello scambio, ma tutti sono attenti al principio del rapporto qualità prezzo. Si può supporre che l’aspirazione ultima sia quella di una vera unione mondiale di tutti i paesi, meno quelli che hanno dominato negli ultimi secoli. Rimane il fatto che le vecchie potenze non hanno più gli stessi poteri di un tempo, che non ci sono più gli imperi coloniali di un tempo (belga, portoghese, spagnolo, olandese, francese, britannico). Eppure resta un errore sullo sfondo: immaginare che, creando nuove egemonie, queste sarebbero migliori di quelle di ieri. Come ha insegnato nella “Fattoria degli animali” George Orwell, i nuovi padroni, divenuti tali, si comportano, quasi sempre, come e peggio di chi li ha preceduto. La domanda che rimane al termine del vertice di Kazan, aldilà delle espressioni trionfalistiche di Putin e Xi, è se i Brics possano davvero rappresentare un ordine mondiale contrapposto a quello dell’Onu. Viene poi un’altra domanda: come si possano collocare Stati Uniti e Unione Europea rispetto a questa parte di mondo? Disporranno a un lato i loro valori e assumeranno una condotta di tolleranza, così come già fatto diverse volte con Erdogan, che era a Kazan in cerca di nuove opportunità, con buona pace della permanenza della sua Turchia nella Nato? Il vertice di Kazan è un punto di partenza, però non si sa dove potrà condurre. Fondamentale sarà osservare quali paesi entreranno nel raggruppamento nei prossimi anni. Putin e Xi guardano all’Africa, dove l’influenza russa e cinese è forte, seppure con leve diverse, e che, quindi, potrebbero seguirli nel loro disegno geopolitico. L’Ue ha definito il vertice un fiasco, accusando Putin di averlo organizzato per ridurre l’isolamento dopo l’Ucraina e gli stati partecipanti di andare in ordine sparso. E si sa che molti, a diverso titolo, nutrono astio verso l’Occidente. Si può dire in diverse forme: l’amico del mio nemico è mio nemico o, in alternativa, il nemico del mio nemico è mio amico.