Città

Ma Taranto ha bisogno veramente di continuare a collezionare monumenti?

12 Nov 2024

di Silvano Trevisani

Una considerazione finale possiamo trarre dal dibattito svoltosi nella sede dell’Ordine degli architetti di Taranto sul monumento alle vittime dell’inquinamento: un tributo importante va discusso in tutte le sue dimensioni, prima di puntare alla realizzazione. Presentare un bozzetto figurativo destinato a essere realizzato in imponenti dimensioni per essere collocato sull’affaccio al mare della Città vecchia, senza nessuna preventiva discussione, ma basandosi sul pur condivisibile sentimento di solidarietà verso le vittime dell’inquinamento, non è assolutamente accettabile. È stato l’architetto Enzo De Palma a organizzare l’incontro dopo l’acceso dibattito che era seguito all’approvazione da parte del Consiglio comunale (semideserto in verità) della mozione presentata dal consigliere regionale e comunale Vincenzo Di Gregorio. Mozione che impegnava il Comune ad accettare l’abbozzo di monumento progettato dallo scultore Carmelo Conte, su commissione di un privato: l’Associazione Genitori tarantini. Gli interventi del presidente degli architetti, Paolo Bruni, del consigliare Di Gregorio dei rappresentanti di varie associazioni, ambientaliste ma anche naturalistiche, quelli degli animatori del dibattito (Enzo Ferrari, Mario Guadagnolo, chi scrive questa nota, Fabio Caffio, Pasquale Vadalà) della soprintendenza e altri operatori culturali, oltre che di Conte e del rappresentante di Genitori tarantini, Massimo Castellana, rivoltosi in verità in maniera piuttosto sgarbata nei confronti degli interlocutori, sono serviti a chiarire la situazione. La cui soluzione pare oggi decisamente riaperta e destinata a futuro approfondimento.

Per prima cosa occorrerebbe ritrovarsi d’accordo sull’opportunità di realizzare un’opera come il monumento che ha sì grande impatto sull’estetica e l’urbanistica di una città, ma che raramente si innesta pienamente con la dinamica socio-urbanistica di un territorio. Poi occorrerebbe condividere un tema, che abbia pregnanza significativa per una comunità e che si ponga in maniera positiva nella sua crescita. Una volta che la politica, attraverso autorevoli consultazioni, si sia decisa a compiere un passo, avendo scelto prima il tipo di intervento, poi la collocazione, possibilmente anche le misure di massima, e soprattutto il finanziamento dell’opera, occorrerebbe insediare una commissione di esperti autorevoli di urbanistica, arte, sociologia, antropologia, incaricati di indire un concorso di progettazione pubblico, possibilmente internazionale, tra artisti e studi d’arte. Spetterà alla commissione scegliere, dopo attenta valutazione, il progetto da avviare alla realizzazione.

Agire d’impulso, magari con il movente che l’opera è “donata” da privati, non porta mai a conseguenze positive. Come dimostrano il monumento al marinaio e tanti altri seminati in giro per la città. Tutti di qualità discutibile. In chiusura di un lungo, intenso e a tratti – naturalmente – polemico dibattito, in cui si sono utilizzate anche espressioni sinceramente inaccettabili, ci si è dati impegno ad approfondire operativamente il problema, chiedendo al giornalista Enzo Ferrari, direttore di “Buonasera Taranto”, di farsi promotore di un pubblico incontro per valutare le ipotesi operative. Che puntino a superare l’ipotesi avanzata, sulla quale però fautori e autore sono determinati a insistere.

Non capiamo però perché la battaglia contro l’inquinamento rappresentata da questa iniziativa sia esclusivamente rivolta contro la siderurgia e non anche contro gli altri agenti inquinanti: Agip, Marina Militare, porto, e così via! Solo l’ignoranza professata può far trascurare ciò che enti internazionali e dell’Onu hanno scientificamente provato: le dieci più grandi navi del mondo inquinano più delle dieci più grandi industrie. I dati li abbiamo più volte pubblicati. Se poi ci si batte per dimostrare le morti provocate dall’industria, non c’è neppure bisogno di dimostrare quelle causate dall’amianto presente sulle navi militari (soprattutto): sono circa 450 e non si discutono perché sono accertate! E infatti nessuno ne parla! Il disinquinamento del Mar Piccolo, attraverso il commissario Vera Corbelli, ha anche dimostrato che il tratto in assoluito più compromesso è quello prospiciente l’Arsenale militare.

Ci pare particolarmente opportuno chiudere ribadendo in sintesi, in questa occasione, le puntuali indicazioni forniteci, in un’intervista pubblicata nei giorni scorsi, sul nostro giornale, da Mario Panico, docente di Studi sul patrimonio culturale, alla Facoltà di studi culturali dell’Università di Amsterdam, ma originario di Taranto, che si occupa proprio di monumenti e musei della memoria: “i monumenti vengono realizzati per ricordare un episodio drammatico, elaborare un lutto, emozionare anche con intento funebre, consolare momentaneamente. Essi servono anche a consolidare un’identità nazionale e un orgoglio comunitario e per questo sono sempre stati edificati massicciamente, soprattutto con opere realistiche, dai regimi totalitari. La letteratura e gli studi recenti ci dimostrano che, alla fine, più che consolidare il ricordo alimentano la dimenticanza. (…) Possono avere ancora un senso se offrono una proiezione futura, se sono condivisibili e “vivibili”, se aprono alla speranza e chiudono alla disperazione. In tutti i casi, proprio le opere didascaliche, quelle che vorrebbero spiegare attraverso scene esplicite ed eloquenti, sono quelle da evitare”.

Più chiaro di così!

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