Sprofondata negli abissi degli orrori
Quattro giorni di attesa. E di speranza. Per quattro giorni, tutti noi abbiamo sperato fosse fuggita, fosse scappata, fosse ritrovata. No, è precipitata, sprofondata nell’orrore dell’animo umano, insieme alla creatura che portava nel suo grembo. Giulia, neanche trenta anni, al settimo mese di gravidanza, e il bambino che portava in grembo, sono stati uccisi da lui, da Alessandro, compagno di Giulia e papà della creatura. E, secondo la sua stessa confessione, assassino. C’era una volta il latin-lover italiano. Di quel mito, molto cinematografico e molto poco reale, sono rimasti i brandelli di belve che minacciano, picchiano, ammazzano amiche, fidanzate, compagne, mogli e figli. Faceva il barista in uno degli alberghi più principeschi di Milano, in via Manzoni, a breve distanza da piazza della Scala. E aveva anche una doppia vita sentimentale. Da dietro il bancone sfiorava il lusso dei clienti. Ma fuori di lì, a trenta anni, ancora non sapeva scegliere fra un avvenire di marito e padre e un presente di eterno teenager. Alla fine ha deciso di diventare un assassino. Il sicario di Giulia, del loro figlio, del suo e loro futuro. Ma al di là degli aspetti giudiziari del caso, il tema generale è proprio questo: il ritardo di maturità spinto fino alla massima violenza. Una democrazia, un Paese emancipato, una potenza industriale che rischia di diventare ex, può reggersi su una parte della popolazione maschile permanentemente fragile e immatura e troppo spesso aggressiva, fino al femminicidio? Si può dare la colpa alla decadenza della famiglia, ai modelli di vita imposti dai social, alle agiatezze, al benessere e alla scarsa propensione alla fatica e finanche alla risposta reazionaria di una società maschilista che non vuole cedere la sua supremazia? Non si può schematizzare quale sia, fra le tante possibili, la ragione prevalente. La sensazione, nel momento in cui è stato comunicato l’allarme sulla scomparsa di Giulia, era quella di una storia già scritta, già letta, già vista. Quando in Italia una donna scompare, è raro che abbia scelto di rifarsi una vita da qualche altra parte. È più probabile che un partner, l’attuale o un ex, abbia deciso di mettere fine alla sua esistenza. Nonostante gli omicidi volontari siano in permanente calo, la violenza contro le donne continua a mantenersi stabile o addirittura ad aumentare. Il copione è spesso sempre lo stesso: una donna decide di porre fine a una relazione e il suo compagno cerca di riaffermare un ultimo e definitivo possesso attraverso l’omicidio. Spesso questa conclusione è preceduta da una serie di soprusi, violenze e abusi, magari anche da qualche denuncia, ma il destino di queste donne sembra ormai scritto, così come le reazioni dei mezzi di comunicazione di massa: le donne dovrebbero imparare a difendersi, a riconoscere i segnali, a lasciare al primo schiaffo, così via. Mai nessuno che invece consigli agli uomini di non uccidere le proprie compagne, le proprie mogli. Anzi, è più facile che cominci il balletto – ipocrita e sgradevole – del ragazzo perbene, dell’insospettabile, che aveva un buon lavoro, che guadagnava un buono stipendio, che non aveva mai mostrato un atteggiamento violento. Ma ormai dovrebbe essere evidente che la violenza di genere non ha etnia, non ha età oppure classe sociale: a uccidere sono italiani e stranieri, lavoratori, pensionati, disoccupati, guardie giurate, poliziotti, da 0 a 90 anni. La diffusione dell’hashtag #losapevamotutte è il segnale di come la violenza sulle donne sia ormai un fatto accettato e normalizzato, una circostanza aspettata, perché la vicenda ha sempre la stessa conclusione, anche perché non c’è davvero nessuno strumento per riscriverla. Certo, le misure di sicurezza, l’innalzamento delle pene, l’introduzione di nuovi reati non hanno fermato la violenza di genere e non la fermeranno mai, perché il problema certamente risiede altrove. Giulia è stata uccisa durante quello che doveva essere un incontro di chiarimento e di confronto, come spesso capita nei casi di femminicidio. Ma anziché cercare e trovare gli strumenti per affrontare la portata emotiva di questo incontro, “lui” non ha saputo utilizzare altri strumenti se non quello della violenza. C’è da sorprendersi in un Paese rappresentato al Parlamento europeo da chi si astiene dal voto per chiedere all’UE di ratificare il trattato del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, più noto come convenzione di Istanbul? Sicuro, non sono quelle astensioni ad aver ucciso quarantacinque donne in questi primi sei mesi del 2023. Sono uomini che non possono, non vogliono e non sanno fare i conti con sé stessi, non sanno rappacificarsi con rimpianti, rancori, insicurezze, fallimenti, debolezze e colpe, agevolati e protetti da un clima di assoluzione complessiva e che preferisce colpevolizzare le donne, incapaci di scegliersi i fidanzati anziché i “campioni” che le ammazzano. Legittimati da una cultura che minimizza la violenza implicita e si meraviglia quando, poi, diventa esplicita, che definisce mostri o pazzi i violenti che concepisce, solamente dopo che hanno commesso una violenza. Mentre il corpo di Giulia era ancora caldo, è arrivata una new: poliziotto ammazza la collega, ex amante, e poi si suicida. E le vittime di questo eccidio sono diventate quarantasei.