Angelus

La domenica del Papa – Vivere, non vivacchiare!

foto Vatican media-Sir
25 Nov 2024

di Fabio Zavattaro

Da una parte c’è Pilato, un uomo abituato a comandare, e dall’altra Gesù trattato come uno schiavo, torturato, flagellato, che di lì a poco verrà condannato alla crocifissione. La domenica che conclude l’anno liturgico pone in primo piano proprio il dialogo tra colui che comanda in nome di Roma, e Gesù che il Governatore della Giudea vede come re e, dunque, suo nemico. Un re sì – è la festa liturgica di questa domenica – ma un re diverso da come il mondo immagina un sovrano. Possiede sì un regno ma non è di questo mondo; esercita la sua regalità su tutti i popoli ma sceglie di soffrire e morire sulla croce. E da lì, come leggiamo nell’Apocalisse tutti lo vedranno “anche quelli che lo trafissero”.

Francesco celebra la Giornata della gioventù, in basilica i giovani portoghesi e coreani per la consegna della croce. All’angelus, commentando il Vangelo di Giovanni, afferma che Gesù è re “in quanto è testimone: è colui che dice la verità. Il potere regale di Gesù, il Verbo incarnato, sta nella sua parola vera, la sua parola efficace, che trasforma il mondo”.

Già, il mondo. per Ponzio Pilato il mondo, dice il Papa, “è quello dove il forte vince sul debole, il ricco sul povero, il violento sul mite, cioè un mondo che purtroppo conosciamo bene”. Il mondo di Gesù è regno d’amore, il “mondo nuovo, quello eterno, che Dio prepara per tutti donando la sua vita per la nostra salvezza. È il regno dei cieli, che Cristo porta sulla terra effondendo grazia e verità”; che “riscatta la creazione rovinata dal male con la forza proprio dell’amore divino”; Gesù salva la creazione, perché “libera”, “perdona”, “dà pace e giustizia”.

Questa festa è invito a “guardare il Signore, origine e compimento di ogni cosa, il cui regno non sarà mai distrutto”, ricorda Francesco, nell’omelia in basilica vaticana. Contemplazione che “eleva e entusiasma” ma il mondo è diverso e “possono sorgere interrogativi inquietanti. Cosa dire delle guerre, delle violenze, dei disastri ecologici”, chiede ai giovani. Poi “la precarietà del lavoro, l’incertezza economica e non solo, le divisioni e le disparità che polarizzano la società? Perché succede tutto questo? E cosa possiamo fare?”

Domande difficili, importanti, dice ai giovani, nella Giornata loro dedicata, invitandoli a riflettere su tre parole: le accuse, i consensi e la verità. Anche ai giovani può capitare di “essere messi sotto accusa per il fatto di seguire Gesù”, perché “siete fedeli al Vangelo e ai suoi valori, perché non vi omologate, non vi piegate a fare come tutti gli altri”. Non preoccupatevi: “prima o poi le critiche e le accuse false cadono e i valori superficiali che le sostengono si rivelano per quello che sono, illusioni. Cari giovani, state attenti a non lasciarvi ubriacare dalle illusioni: siate concreti, la realtà è concreta”.

Poi chiede loro di non lasciarsi “contagiare” dal consenso, “dalla smania di essere visti, approvato, lodati”: chi si lascia “prendere da queste fissazioni, finisce col vivere nell’affanno. Si riduce a ‘sgomitare’, competere, fingere, scendere a compromessi, svendere i propri ideali”, pur di avere “un po’ di approvazione e di visibilità”. Davanti a Dio “i vostri sogni puri valgono più del successo e della fama, e la sincerità delle vostre intenzioni vale più dei consensi”. Non “accontentatevi di essere ‘stelle per un giorno’, sui social o in qualsiasi altro contesto. Non sono i consensi a salvare il mondo, né a rendere felici, ma la gratuità dell’amore”.

Infine, la verità, Francesco ha indicato il rischio di rimanere “prigionieri di una grande menzogna: quella dell’io che basta a sé stesso, radice di ogni ingiustizia e infelicità”. Pier Giorgio Frassati – sarà proclamato santo il 3 agosto; così il giovane Carlo Acutis il 27 aprile – diceva: “noi vogliamo vivere, non vivacchiare, e perciò ci sforziamo di testimoniare la verità nella carità, amandoci come Gesù ci ha amato”.

Infine, all’angelus il pontefice ha rinnovato la preghiera per la pace in Palestina, Israele, Libano, Sudan, e in Myanmar, cui rivolge un appello alle parti coinvolte “affinché tacciano le armi e si apra un dialogo sincero e inclusivo, in grado di assicurare una pace duratura”.

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