Editoriale

Il video, lo schianto e il dominio dei like

Foto dal sito famigliacristiana.it
19 Giu 2023

Alla fine ci sono riusciti. I quattro borderline – termine che indica un disturbo della personalità caratterizzato da instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, da impulsività e da difficoltà a organizzare i propri pensieri – ci hanno provato, in tutti i modi, a diventare famosi, a sfondare con i loro video, finché ci sono riusciti. La loro grottesca e incontentabile sete di fama, di celebrità, di notorietà, li ha resi in un attimo famigerati, vetrina italiana di una categoria giovanile anestetizzata di “mi piace”, narcotizzata di “like”, intesi come l’esclusiva dimensione del successo moderno, riservato a fenomeni umani, furbi e vincenti. Doveva essere un gioco, dicono, una sfida di cinquanta ore a bordo di un suv della Lamborghini – un potentissimo fuoristrada, per uso stradale, con elevate prestazioni – preso a noleggio per l’occasione, ed è finita con la morte di Manuel, un bambino di cinque anni. Purtroppo, la sconcertante verità è che non si è mai trattato di un gioco fatto tanto per divertirsi e divertire: la goliardia spropositata, le battutine sceme, la ricchezza affittata, la spacconeria, non sono altro che una pantomima di bassa lega, una vera e propria esca studiata per attirare menti immature, ragazzini più che altro, abbagliati dai nuovi idoli di cartapesta, ridenti e vuoti. Soldi facili, è la parola d’ordine, a qualunque costo. I quattro perfetti campioni di autentica de-generazione youtuber non hanno niente di originale, di trasgressivo, di simpatico o appassionante: in pratica, imitano il loro idolo americano, un certo Mr. Beast, pseudonimo di Jimmy Donaldson, altro esemplare di furbetto che, con dei video di sfide, tipo cinquanta ore in una bara, come sfuggire al proprio killer, ha messo in tasca oltre cinquanta milioni di dollari e vari miliardi di visualizzazioni. I borderline sono diventati, in breve, una società, la TheBorderline srl, con un fatturato da circa trentamila euro al mese nel 2022, duecento mila euro l’anno, un business ricco che si nutre di visualizzazioni, follower pronti a finanziarli e sponsorizzazioni. Si sta parlando di grosse cifre e di un messaggio lampante: oggi solo i poveri scemi continuano a studiare e a lavorare per guadagnarsi da vivere. La morte di quel bambino non è mai stata un gioco, ma solo una questione di denaro, un affare così florido da spingere gli autori del delitto stradale, insieme ai genitori, a calpestare il dolore di una famiglia distrutta. “Tranquilli, è solamente una bravata, andrà tutto bene. Daremo un sacco di soldi alla famiglia”, sono state le parole di rassicurazione di mamma e di papà ai loro piccoli campioni, subito dopo l’incidente e sul luogo dell’incidente, nel più totale, terribile e raccapricciante cinismo. È quasi impossibile non cedere alla rabbia. Si può dire che sono degli assassini disagiati proprio come il nome che si sono dati – il disturbo della personalità di cui si è scritto sopra –, che sono morti dentro e non sanno di esserlo, ma in tutto questo delirio che separa il mondo virtuale dalla realtà concreta abolendo ogni forma di empatia e di umanità, a fare più paura è l’incredibile rialzo improvviso di “seguaci” social che il collettivo di youtuber ha raccolto dopo tanta spregevole pubblicità. Il conducente, risultato non negativo alla cannabis, è indagato per omicidio stradale e per lesioni stradali aggravate, e incuranti di tutto, migliaia di ragazzini, vittime di un’attrazione malata, non soltanto decidono di “seguire” i quattro famigerati, ma fanno branco per tutelarli dall’indignazione universale: “Nel mondo accadono cose peggiori della morte di un bambino. È stato un incidente, basta odio contro questi ragazzi”. È vero, può accadere di peggio, perché non tutte le ciambelle escono con il buco. Non tutto quello che si vorrebbe talvolta riesce bene e ciò vale pure per un figlio. Nel frattempo, però, succede che il loro canale YouTube non è stato oscurato. La politica della piattaforma vieta formalmente i video di sfida, ma, poi, realmente non vengono rimossi, tanto da diventare virali per mesi. Tutto questo ha una sola spiegazione: più si visualizzano e più si guadagna dalle inserzioni, e più guadagna YouTube, che acquisisce ben il cinquanta per cento delle entrate pubblicitarie. La morte di Manuel, di quel bambino di cinque anni, a distanza di giorni, continua a essere solamente una becera, rozza questione di danari, di luridissimi soldi. L’unico modo per scardinare il sistema è cancellare la possibilità di monetizzare la propria idiozia attraverso i social. Urgono decisioni dall’alto chiare e clamorose. La dittatura dei like non può e non deve continuare.

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