Vendita dell’ex Ilva, la perplessità superano, al momento, le certezze
Il futuro dell’ex Ilva è sempre più avvolto dall’incertezza. E all’indomani della scadenza imposta per la presentazione delle offerte d’acquisto, le reazioni, soprattutto da parte sindacale, sono piuttosto allarmate. Anche per quanto affermato da uno dei gruppi proponenti.
Le offerte
Tre, com’è noto, le proposte vincolanti per l’acquisto dell’azienda pervenute al ministero dell’Impresa, provenienti dall’India, dall’Azerbaijan e dagli Usa (in questo caso da un fondo finanziario). Altre proposte riguardano alcuni asset dell’azienda, e non tutta l’ex Ilva. Questo non sembrano suscitare entusiasmo a nessun livello di interlocuzione.
Ma delle offerte sono si sa ancora niente, né il ministero ha riferito in merito, tranne ciò che uno dei tre offerenti ha fatto conoscere per propria iniziativa.
Così Jindal
Ci riferiamo a Jindal Steel International, il cui direttore per le operazioni europee ha spiegato, in varie interviste “proposte” in questi giorni, le intenzioni del gigante indiano. Che possiam riassumere brevemente così: l’intenzione è quella di chiudere subito le cokerie e importare il semilavorato (DRI) dall’Oman. In seguito si produrrebbe il DRI a Taranto, se però ci saranno gas e sovvenzioni a sufficienza. A medio termine, è prevista la chiusura degli altoforni entro il 2030 e la loro sostituzione con due grandi forni ad arco elettrico che garantirebbero la produzioni di circa 6 tonnellate di acciaio. Bei propositi vengono espressi, poi, per l’occupazione, l’attrazione di industria verde e di imprese che utilizzano acciaio. Tutto ovviamente da verificare.
Dichiarazioni Fiom e Cgil
Niente si sa invece delle altre due proposte d’acquisto e proprio per questo Fiom e Cgil hanno tenuto una conferenza stampa (nella foto) che parte da un presupposto: lo Stato deve mantenere una quota nella nuova Ilva. Loris Scarpa, responsabile nazionale siderurgia della Fiom Cgil, ha spiegato che “in tutto il mondo, qualunque Stato nella siderurgia svolge un ruolo attivo ed è direttamente partecipe nel capitale delle aziende più importanti”.
Quindi come già dimostrato in diversi casi, Beko su tutti, la Golden Power non dà nessuna garanzia sull’occupazione e sugli assetti industriali. Serve il coinvolgimento diretto come, del resto, più volte sostenuto.
Per il segretario della Fiom Taranto, Francesco Briganti, è necessario “che il governo ci convochi al più presto per renderci partecipi di quelli che sono i contenuti delle offerte vincolanti di acquisto in vista. Soprattutto, di quelli che saranno gli ulteriori rilanci. Resta il fatto che, per noi, i ragionamenti andranno fatti sulle tre proposte di acquisto che puntano all’acquisizione di tutti gli stabilimenti ex Ilva e non su quelle riferite a semplice asset”.
Drastica la Uilm
Drastico era stato anche il commento del segretario nazionale della Uilm, Rocco Palombella, riferito alle dichiarazioni del rappresentante di Jindal: “Questo piano lo abbiamo già visto a Piombino, quando nel 2014 fu chiuso l’altoforno con la promessa di costruire forni elettrici che ad oggi ancora non ci sono. Per noi la transizione all’elettrico e la decarbonizzazione devono avvenire in maniera graduale, con gli altoforni in marcia adeguati dal punto di vista ambientale. Contemporaneamente avviare la costruzione di forni elettrici e impianti di pre ridotto che andranno a sostituire l’attuale produzione a carbone. Solo così sarà possibile salvaguardare l’ambiente, l’occupazione, diretta e indiretta, e la produzione. Il risanamento ambientale potrà essere realizzato solamente con gli impianti in marcia e la continuità produttiva”.