Da 50 anni un evento che rimette la Chiesa in sintonia con la società
Ma De Marco, che ha passato in rassegna la corposa collezione del settimanale “Nuovo Dialogo”, ricorda come in quel primo decennio vi furono relatori molto noti, come l’arcivescovo Loris Capovilla già segretario particolare di Giovanni XXIII, lo scrittore Mario Pomilio e il grande Giorgio La Pira che aprì la Settimana della fede dell’anno Santo 1975 con il tema “Salviamo i valori umani”.
“Ogni anno della sua storia l’appuntamento con la Settimana della fede ha rappresentato un supplemento di identità della comunità diocesana: l’ha aiutata, in questo mezzo secolo, a rispondere man mano alle sfide dei nostri tempi”. Questo giudizio più sintetizzare il senso e il portato del lungo cammino svolto, dal 1971 ad oggi, della Settimana della fede, un appuntamento nato per volontà di un padre conciliare, monsignor Guglielmo Motolese, assieme al nuovo, meraviglioso tempio nato anch’esso nell’ottica del Concilio ecumenico Vaticano II: la Concattedrale Gran Madre di Dio. A esprimere questo concetto, nella relazione di apertura della terza giornata dell’assise in corso di svolgimento, è stato il professor Vittorio De Marco, storico e docente dell’Università di Lecce nonché direttore della Biblioteca arcivescovile, che ha affrontato il tema: “50 anni di annuncio nella bellezza della Concattedrale”.
In una rassegna necessariamente sintetica ma esaustiva, De Marco ha ripercorso l’itinerario storico delle settimane concatenandolo con l’evoluzione stessa della diocesi, attraverso i mutamenti, gli avvicendamenti e alcuni dei principali protagonisti. L’8 marzo 1971, all’inizio del periodo quaresimale, in una nuova “casa di Dio per l’uomo” come l’aveva definita Gio Ponti e consacrata appena tre mesi prima, si inaugura la prima Settimana della Fede, voluta dall’arcivescovo Motolese come “momento di riflessione per un progetto di Chiesa aperta, autentica, missionaria, che sappia guardare, in fedeltà al suo Maestro, ai grandi traguardi sulla soglia del duemila”. Per annunciare sempre lo stesso vangelo, ma in forme ed approcci rinnovati nei confronti della difficile umanità della seconda parte del XX secolo.
Ad aprire quella edizione fu l’arcivescovo di Genova, cardinale Giuseppe Siri, che sarà poi in “ballottaggio” con Woityla, per l’elezione del successore di Giovanni Paolo I, seguito da un altro personaggio famosissimo dell’epoca, il “televisivo” padre Mariano. Ma De Marco, che ha passato in rassegna la corposa collezione del settimanale “Nuovo Dialogo”, ricorda come in quel primo decennio vi furono relatori molto noti, come l’arcivescovo Loris Capovilla già segretario particolare di Giovanni XXIII, lo scrittore Mario Pomilio e il grande Giorgio La Pira che aprì la Settimana della fede dell’anno Santo 1975 con il tema “Salviamo i valori umani”. Nel 1980 è la volta di Antonino Zichichi che affronta il tema “Scienza e fede” in una concattedrale letteralmente gremita dai giovani, e che tornerà nell’85 per parlare di scienza e fede nell’ottica della pace. Nel 1986 un’altra concattedrale affollatissima ascolta don Luigi Giussani nella quarta serata del 20 febbraio che parla su “Processo e prospettive della Chiesa a venti anni dal Concilio”.
Poi l’analisi dell’oratore percorre le tappe del cambiamento e delle successioni alla guida della diocesi, a cominciare dall’arcivescovo Salvatore De Giorgi, che proprio durante la Settimana della fede del 1989 diede l’annuncio della visita del Papa a Taranto nell’ottobre successivo; poi monsignor Benigno Papa, subentrato nel maggio 1990, che annuncia il progetto pastorale decennale della diocesi che ha per traccia “La Chiesa di Taranto e la nuova evangelizzazione”, e che incentra la Settimana sul Credo, e infine monsignor Filippo Santoro, che fa il suo ingresso il 5 gennaio 2012.
“Arriva un vento nuovo da antiche terre di missione dove si vive una fede viva e vibrante; – dice De Marco – la comunità diocesana comincia ad abituarsi ad un linguaggio diverso che anticipa quello a cui ci abituerà qualche anno dopo papa Francesco: «Non possiamo rimanere chiusi in noi – dirà in una delle sue prime omelie mons. Santoro – dobbiamo annunciare la nostra fede nella vita di tutti i giorni», dunque una Chiesa aperta che deve prendere il largo ci dice in diverse occasioni l’arcivescovo”. E poi ricorda, tra le altre cose, come la Settimana del 2013 fosse incentrata soprattutto sui temi dell’ambiente e del lavoro, dopo che, nel 2012, era deflagrato il caso Ilva.
Ma il racconto di questi cinquant’anni è ricco di episodi, eventi, coincidenze che si incrociano nel percorso della Chiesa e fanno comunque della Settimana della fede un’occasione preziosa per una “messa a punto” in itinere del cammino della comunità ecclesiale tarantina.
Aprendo la serie delle testimonianze previste dal programma della terza giornata, monsignor Franco Semeraro che ha affrontato il tema della Chiesa dell’annuncio, sottolineando come in questi 50 anni la Chiesa abbia esercitato la “profezia dell’annuncio”, in una forma così corale e solenne per cui la Concattedrale è diventata la Casa dell’annuncio. “Se fosse vissuto oggi Motolese – ha detto – avrebbe fatto la stessa scelta: avrebbe cambiato il registro, laddove le nostre città si caratterizzano oggi per una religiosità infragilita, per cui bisogna adeguarsi non solo su “cosa” dire ma su “come” dire alla gente, su come essere Chiesa che intercetta le domande delle persone. Riferendosi all’Evangelii Gaudium di Papa Francesco, ha rimarcato il senso di una chiesa annunciatrice, una Chiesa in missione
Giovanni Pergolesi, laico da sempre impegnato e che ha anche svolto il ruolo di presidente diocesano dell’Azione cattolica ha sottolineato come la Settimana della fede abbia rappresentato, per le associazioni laicali e per tutto il laicato diocesano un’occasione di inculturazione della fede e di confronto avanzato sui temi e sulle istanze che la società civile andava rappresentando.
Nell’ultimo intervento, il direttore dell’Istituto di scienza religiose, don Francesco Castelli, ha approfondito il rapporto tra sinodalità e Settimana della fede, sottolineando come la lungimiranza di Motolese gli abbia consentito di trovare un modo per aggiornare le pratiche quaresimali, ricercando un modo nuovo per rivolgersi alla comunità alla luce dell’insegnamento conciliare. Servendosi di un’efficace metafora, ha poi spiegato come la vela che sormonta la Concattedrale volesse rappresentare anche il simbolo di una Chiesa locale che, uscita dal Mar Piccolo si rivolgeva al Mar Grande, facendo rotta verso una società ormai non più in sintonia con i vecchi linguaggi e bisognosa di nuovi linguaggi, di nuove aperture.