L’agroalimentare in tempo di guerra: mancherà il pane?
L’Italia e l’Europa devono fare i conti con la necessità di assicurare gli approvvigionamenti essenziali ma anche con quella di non elevare muri pericolosi
In Italia potrebbe presto mancare la farina per fare il pane. Certo, si farà di tutto perché questo non accada, ma l’orizzonte di un’economia di guerra, anche per l’Italia, si sta delineando. E, come ha anche detto il presidente del consiglio Mario Draghi, occorre prepararsi per non essere colti di sorpresa. Così, dopo quella del Covid-19, l’agricoltura e l’agroalimentare italiani vengono posti improvvisamente di fronte ad un’altra sfida.
A far esplodere il problema degli approvvigionamenti di materie prime alimentari di base (come appunto i cereali), sono state le sanzioni inflitte dall’Unione europea alla Russia, ma anche la decisione dell’Ungheria di bloccare le esportazioni di grano per assicurare prima di tutto gli approvvigionamenti nel mercato interno. Ad aggiungere poi difficoltà, ci si sono messe anche le quotazioni internazionali dei cereali, già elevate prima della guerra Russia-Ucraina. L’insieme di prezzi alti, restrizioni all’export, embarghi internazionali e difficoltà di trasporto, costituiscono gli ingredienti di una sorta di tempesta perfetta nel mercato agroalimentare che, presto, potrebbe scatenare i suoi effetti anche in Italia. L’allarme è già stato lanciato dai coltivatori e dagli industriali. Italmopa, che raccoglie i molini italiani, ha già previsto che, senza rimedi, difficilmente ci sarà grano a sufficienza per arrivare al nuovo raccolto. Gli agricoltori dal canto loro mettono a disposizione terreni e capacità tecniche, ma devono fare comunque i conti con i tempi medio-lunghi delle produzioni agricole.
“Oggi ci troviamo in una situazione estremamente complessa e purtroppo destinata a peggiorare in ragione delle tensioni geopolitiche in atto. La questione riguarda i cereali, ma anche i semi oleosi”, hanno sottolineato le associazioni agricole che fanno parte di Agrinsieme (Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle Cooperative Agroalimentari). Per trovare rimedi, al di là della ricerca delle cause passate di quanto accade oggi, il raggruppamento di associazioni propone di “pianificare l’immediato e iniziare a ragionare sul futuro dell’intera agricoltura italiana, a partire dai seminativi”. Questione di giorni, perché presto inizieranno le semine di mais, soia e girasole. Le stesse associazioni, chiedono poi la sospensione temporanea dell’adozione “della nuova Pac, così come l’obbligo del greening; allo stesso modo si renderebbe necessaria una proroga dell’attuazione della strategia Farm to Fork, rivedendola alla luce della situazione odierna”. Detto in altri termini, adesso occorre produrre sfruttando ogni fazzoletto di terra disponibile, magari senza badare tanto agli aspetti ambientali più esasperati. “Siamo pronti a produrre da quest’anno 75 milioni di quintali in più di mais per gli allevamenti, di grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, per rispondere alle difficoltà di approvvigionamento dall’estero determinate dalla guerra”, ha detto chiaro il presidente della Coldiretti Ettore Prandini in occasione del tavolo sull’emergenza grano convocato al Ministero delle Politiche Agricole. L’obiettivo non può essere quello di rendere l’Italia autonoma dal punto di vista degli approvvigionamenti cerealicoli. E’ possibile, invece, ridurre “sensibilmente la dipendenza dall’estero da dove arriva circa la metà del mais necessario all’alimentazione del bestiame il 35% del grano duro per la produzione di pasta e il 64% del grano tenero per la panificazione”.
Ma come fare? Oltre alla terra, spiegano i coltivatori diretti, servono “contratti di filiera con l’industria alimentare e dei mangimi che prevedano impegni pluriennali per la coltivazione di grano e mais e il riconoscimento di un prezzo di acquisto equo”.
Si tratta di un percorso fattibile, anche se non facile. E che comunque non deve trascurare la necessità di non rinunciare agli scambi internazionali ed europei che, nei decenni pur tra alti e bassi, hanno consentito maggior benessere anche dal punto di vista alimentare oltre che sociale ed economico. Se lo spettro dell’autarchia si delinea all’orizzonte, occorre lavorare per assicurare benessere ed equità e non certo per edificare nuovi muri e restrizioni che farebbero alla lunga danno per tutti.