Settimana della fede

Don Filippo Belli alla Settimana della fede: “L’incontro è ritrovarsi attorno al Salvatore”

foto G. Leva
17 Mar 2025

di Silvano Trevisani

È stato un percorso nelle Sacre Scritture quello proposto da don Filippo Belli, nella serata di apertura della 53ª Settimana della fede. “L’incontro tra le persone e nella società alla luce della Parola di Dio” è il tema affrontato dal presbitero della diocesi di Firenze, docente stabile di Sacra Scrittura alla Facoltà teologica dell’Italia centrale a Firenze e direttore della biblioteca della facoltà.

Ponendo al centro del suo intervento le Lettere di san Paolo, in particolare ai Galati e agli Efesini, l’oratore ha descritto compitamente il concetto di incontro. Esso è inevitabile ma anche indispensabile tra gli uomini, sia dal momento del loro concepimento, sia compromesso da quella frattura che è rappresentata dal peccato. Solo il sangue versato da Cristo ha la facoltà di ricucire i rapporti con le persone e tra queste e Dio.

L’incontro, introdotto da monsignor Gino Romanazzi, è stato aperto dal coro polifonico parrocchiale ‘San Nicola’ di Lizzano, diretto dalla mª Annamaria Lecce, all’organo Emilia Lecce che ha proposto il canto iniziale: ‘Popoli tutti acclamate’. Al termine della lezione, l’arcivescovo Ciro Miniero ha ringraziato don Belli per la chiarezza e l’esaustività della sua relazione e, dopo la chiusura del coro di Lizzano, ha impartito la benedizione.

A don Filippo Belli abbiamo rivolto alcune domande sul tema trattato.

Un tema, quello dell’incontro, che per un cristiano non dovrebbe rappresentare una novità, anche se in questi tempi difficili la parola “incontro” può sembrare un auspicio un po’ utopico.

In effetti noi viviamo di incontri fin dal seno materno: quello è il primo incontro che facciamo. Il problema da porsi è: come si sviluppa una cultura dell’incontro? È, infatti, inevitabile incontrarsi, perché abbiamo bisogno degli altri, per vivere. Ma tutto sta appunto a vedere su che base si stabilisce un vero incontro. Lo vediamo abbastanza facilmente, anche nella situazione del mondo di oggi (ma per la verità di tutti i tempi). Se prevale l’interesse, il piacere, l’antipatia o la simpatia, si stabiliscono incontri conseguenziali, che hanno una data di scadenza a seconda delle condizioni di partenza. Il cristianesimo stabilisce invece una modalità d’incontro che raggiunge il cuore. Dove si stabiliscono rapporti stabili, duraturi, fruttuosi, fecondi, per la vita delle persone e per tutta la società.

L’Antico Testamento soprattutto, ma anche il Nuovo, ci raccontano di incontri che spesso diventano scontri, anche abbastanza duri. Un cristiano a cosa deve attingere?

Deve attingere a quella fonte unica che è il rapporto con Gesù che permette, come dice il testo che commento, di abbattere il muro dell’inimicizia, che è un po’ inevitabile a causa del peccato. Con la conversione e la purificazione del cuore, in modo che nascano atteggiamenti virtuosi: incontri veri, stabili, fedeli, che siano significativi.

La Chiesa ha degli strumenti particolari per l’incontro con Cristo, a partire dai sacramenti, ma pare che essi, insieme alla pratica religiosa in sé, abbia perso un po’ di appeal.

Lo vediamo, perché le chiese si svuotano. Bisogna recuperare, per la Chiesa, quello che è l’essenziale dell’annuncio evangelico: che il Signore è davvero il salvatore della nostra vita, l’unico davvero in grado di convertire il nostro cuore. Attraverso la Parola, i sacramenti, la partecipazione alla vita della Chiesa. È dai tempi di Giovanni Paolo II che si parla di rievangelizzazione, ma adesso diventa sempre più urgente. Una vera cultura dell’incontro è andare incontro a tutte le persone per questo nuovo annuncio.

Un ultimo riferimento a papa Francesco. Ci ha ricordato che siamo tutti fratelli, tra i quali l’incontro dovrebbe essere qualcosa di consueto. Perché anche all’interno della Chiesa, tra le varie componenti, questo incontro a volte è un po’ carente?

Proprio perché siamo peccatori prevale altro rispetto alla coscienza che Papa Francesco indica chiaramente: che siamo tutti fratelli è un fatto, perché siamo tutti figli di Dio. Non è solo un auspicio. Diventa un auspicio nel momento che diventa una cultura, diventa lavoro, diventa testimonianza, diventa impegno. Tanto più quando le singole persone, le comunità prendono coscienza di cosa voglia dire essere figli di Dio.

Le foto sono a cura di Peppe Leva

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