Don Gianluca, il Belgio, la fede e la ‘christian music’
Gianluca Loperfido, 33 anni, tarantino dei Tamburi, il prossimo 15 agosto sarà ordinato sacerdote in Belgio, dove risiede da qualche anno, vantando una discreta popolarità fra i giovani per la sua “christian music” diffusa sulle piattaforme on line. Nei commenti sui social molti lo ringraziano per i messaggi di speranza e che parlano di Dio, ancor più significativi in un contesto, come quello belga, fortemente secolarizzato.
“Mi trovo in Belgio perché innamorato di questi posti in cui, in compagnia della nonna, trascorrevo le vacanze estive – racconta – Dopo il diploma ho fatto il cuoco per quattro anni, ma per me c’era la chiamata al sacerdozio. Così dieci anni fa sono entrato in seminario a Lovanio. Qui in Belgio le vocazioni sono scarse e nelle chiese la presenza di fedeli non è certo eccessiva, permane in ognuno il bisogno di Dio e di chi aiuti a far riscoprire il senso vero della vita, che si realizza nell’incontro con il Padre. Così ho ritenuto fosse più importante la mia presenza in questa nazione che, come gran parte dell’Europa, ha bisogno di rievangelizzazione”. Secondo Gianluca la musica può essere un strumento opportuno per la nuova evangelizzazione in quanto aiuta a uscire da se stessi per andare incontro agli altri e stare insieme, conducendo a Dio.
Attualmente don Gianluca Loperfido collabora con un sacerdote, il decano, nella guida di un’unità pastorale composta da quattro parrocchie (le vocazioni scarseggiano sempre di più) dove la messa viene celebrata solo una volta nei week end.
“In prevalenza opero con un gruppo di giovani, denominato ‘Camminiamo insieme nella fede’. Più che con la spiegazione della Parola, cerco di far loro trovare Dio attraverso esperienze forti, come quelle nelle carceri, nelle case di riposo, nei centri disabili, con i rom, gli immigrati ecc. Ritengo che ciò permetta di far riconoscere nelle sofferenze del prossimo quelle del Signore, morto per noi, avvicinando così alla fede” – spiega.
Don Gianluca riferisce che in Belgio sono pochi i giovani che vanno in chiesa, a causa della forte secolarizzazione e del materialismo dominante: “Si tratta di una situazione pressoché comune a tutta l’Europa – dice – specialmente a quella del Nord. Abbiamo riempito la nostra vita di tante cose riducendo sempre più lo spazio per il Signore. Ma nella vita di ognuno non si spegne la sete di Dio, che è enorme e spinge alla Sua ricerca. Noi cristiani, quei pochi rimasti, dobbiamo così essere lo strumento che aiuta in questa ricerca, che in verità impegna anche noi, in quanto la conoscenza di Dio non termina mai. Qui in Italia, specialmente al Sud, la situazione è nettamente migliore nella pratica cristiana, ma non dobbiamo abbassare la guardia e vivere di rendita. Pur anch’essa tentata dalla sirene del materialismo, anche la nostra Taranto è riscontabile una buona frequenza nelle chiese, con una intensa devozione che va però purificata e arricchita di contenuti profondi. Bisognerebbe insistere, a mio parere, nella formazione di giovani e adulti, da impegnare anche loro in attività che permettano di toccare le ferite di Cristo”.
Nei suoi viaggi per il mondo il prossimo sacerdote ha invece riscontrato un notevole risveglio religioso negli Stati Uniti, in particolar modo nelle città di Baltimora, New York e Washington dove, nonostante il materialismo, le chiese sono incredibilmente piene, con molti giovani: “Non so spiegarne le cause – commenta – ma è così. Dio agisce in modo a noi misterioso per farsi trovare e dare così pienezza alla nostra vita”.
Don Gianluca parla anche della sua esperienza in una nazione fortemente multiculturale (“Il Belgio racchiude il mondo”) e in particolare degli islamici, con i quali i cristiani intrattengono, dice, un rapporto buono e pieno di solidarietà. Con il terrorismo ormai alle spalle, anche la realtà dei mussulmani risente della forte secolarizzazione. “Anche i loro giovani – dice – sono alla ricerca, ponendosi la domanda di Dio. Nei loro confronti noi cristiani dobbiamo essere attenti, più che nel parlare della nostra fede, a offrire una coerente testimonianza con la nostra vita”.
Don Gianluca conclude insistendo sulle sfide che rivengono dal mondo del materialismo, in particolarmente quella dell’individualismo. “Siamo una società che si sta chiudendo, dove ognuno vuol esserne il centro. Non siamo più capaci di essere comunità chiudendoci all’altro, specialmente di chi soffre. Dobbiamo invece riabituarci a riscoprire la bellezza dell’altro, permettendo così all’altro di riscopre quella che è in me. Siamo inseriti in un mosaico meraviglioso, dove ognuno per completarsi ha bisogno dei talenti dell’altro. In caso contrario, siamo condannati alla tristezza e all’insoddisfazione perenne”.