L’omelia dell’arcivescovo Santoro in chiusura della Settimana della Fede
Sono particolarmente felice di poter celebrare la conclusione della Settimana della Fede 2022, la cinquantesima, con mezzo secolo di Evangelizzazione sotto lo sguardo paterno del Patrono universale della Chiesa, San Giuseppe custode del Redentore.
Stiamo celebrando una Liturgia anche con le restrizioni che continuano, vi vedo così numerosi in questa celebrazione con lo splendore della semplicità, la bellezza del canto, la partecipazione in presenza.
Ogni nostra azione, anche i Riti della Settimana Santa, partono dalla bellezza della liturgia e della musica come stiamo sperimentando questa sera e siamo particolarmente grati al Signore di poterlo fare in questa Concattedrale con la presenza di tutte le varie componenti della nostra arcidiocesi.
Dopo una settimana intensa di testimonianze, di riflessioni sui cinquant’anni della Settimana della Fede, ieri abbiamo meditato anche sulla nostra situazione ambientale.
Oggi celebriamo la festa di San Giuseppe patrono della Chiesa. Nei momenti particolari di pericolo si ricorre a quelli che ci proteggono; cercare rifugio in Giuseppe, l’uomo che il Vangelo chiama Giusto, è andare alle radici della nostra fede, è andare al Mistero dell’Incarnazione del Verbo. Il Figlio di Dio entra nella storia per un sì di una famiglia, di persone semplici ma abitate dalla presenza di Dio che con coraggio ed umiltà aprono la strada per i primi passi del Salvatore; sono Maria e Giuseppe, la Santa Famiglia, sono il prototipo della Chiesa dove non si è legati dalla carne, dal sangue ma, soprattutto, dall’obbedienza gioiosa e fiduciosa e coraggiosa allo Spirito Santo che fa nuove tutte le cose nei limiti della fragilità e della nostra povertà.
Abbiamo ascoltato il Vangelo, San Giuseppe che, prima che andasse a vivere con Maria, si trova di fronte ad un cambiamento di piani, ad un cambiamento di prospettive. La sua vita che era prevista come sposo naturale di Maria, si trova di fronte all’irruzione di un Mistero più grande, un Mistero che però non diminuisce l’affetto che ha per Maria, ma lo trasforma, lo trasfigura in un affetto che dura per sempre. Eterna sarà la tua discendenza. Giuseppe sarà il padre putativo di Gesù.
Vedete che nella nostra vita quando facciamo spazio al Signore i nostri piani non sono eliminati sono trasformati, trasfigurati. Fidiamoci del piano di un Altro. Il tema di quest’anno parte dalla la fedeltà di Dio.
Avete ascoltato la Prima Lettura, “Ti costruirò una casa”, a questo Dio è fedele e risponde così Giuseppe con fiducia al piano del Signore, all’annuncio dell’Angelo, e poi, nelle circostanze più difficili, si fida del Signore. Si fida del Signore quando i Betlemiti gli chiudono le porte mentre Maria sta per partorire e poi, avvisato dall’angelo fugge in Egitto, e quando perde il giovinetto Gesù: sempre si fida del Signore anche se non comprende immediatamente tutto, sta lì obbediente ad un piano più grande, al piano della fiducia dell’amore di Dio.
Il cammino della nostra Diocesi è un cammino nella fedeltà e nella fiducia anche in questi tempi duri, tempi di pandemia, in questi tempi di guerra che speriamo volgano a termine.
Siamo intensamente impegnati nella preghiera, nel digiuno come il Papa ci raccomanda, e siamo impegnati nell’accoglienza. Nei prossimi giorni già giungeranno i primi profughi provenienti dall’Ucraina che saranno accolti tra l’altro anche nel nostro centro di accoglienza San Cataldo Vescovo.
Il tema centrale che abbiamo approfondito in questa Settimana della Fede è il tema della sinodalità che noi stiamo approfondendo seguendo le parole di papa Francesco. “Che cosa Dio si aspetta dalla Chiesa nel terzo millennio? Quello che il Signore ci chiede è tutto contenuto nella parola Sinodo, camminare insieme, laici, pastori, vescovi, Vescovo di Roma. Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, è una Chiesa dell’ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare, abbiamo tutti da imparare gli uni dagli altri”. Quindi tutti ascoltiamo, ci siamo messi già in ascolto nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità: l’ascolto dell’altro perché lo Spirito Santo suscita anche l’ultimo che viene nelle nostre comunità e ci parla con il cuore e ci tocca il cuore e non ripete dottrine teoriche ma ripete e dice quello che accade nella sua vita.
Dobbiamo imparare nei nostri incontri a parlare a partire dall’esperienza, a partire da quello che il Signore fa accadere nella nostra vita e l’ultimo che viene, il più piccolo ci può illuminare.
La sinodalità parte proprio dall’ascolto, l’ascolto che facciamo noi pastori, i nostri sacerdoti, i diaconi, i fedeli, i laici tutti quanti insieme.
San Giuseppe ci rimanda al dono di sé, ci dice che esiste una rivoluzione dell’amore che parte dall’aver scandagliato la coscienza dei sogni alla luce della presenza di Dio. Nella nostra vita tutto è illuminato da questa grande presenza, sia la vita che la morte. A San Giuseppe uomo del silenzio, uomo generoso, libero e sapienziale va oggi la nostra preghiera, la nostra devozione. In questo mondo pieno di chiasso, di odio, di esibizionismi, di dichiarazioni, oggi la Chiesa celebra il suo Santo Patrono. Per i credenti i santi sono eroi di fede e di virtù, l’eroismo dei nostri santi non è nelle imprese ma nel rendere presente Dio nella storia, nella vita quotidiana, nella vita di tutti i giorni. La Chiesa oggi ricorda San Giuseppe, l’eroe di cui non conosciamo la voce e le parole, non si citano parole di San Giuseppe ma i fatti, la sua fiducia, la sua fedeltà tanto che è chiamato uomo giusto, l’uomo che ha vissuto la vita e la fede nella fiducia. Avete ascoltato la Seconda Lettura, la fede di Abramo, la fede di cui San Giuseppe è stato anche protagonista. C’è una devozione a cui papa Francesco è molto legato, e anche io l’ho imparata nell’America Latina, quella a San Giuseppe dormiente. Quando c’è un problema grosso, ricordiamo tutta la tempesta che c’è stata nella vita di San Giuseppe quando Maria è rimasta incinta, allora lui si affida al Signore. Dice il Papa: “Voi quando avete un problema importante scrivete un bigliettino, mettetelo sotto il cuscino dove sta dormendo San Giuseppe, affidatevi al Signore, (non basta il gesto meccanico) affidatevi al Signore, spalancate il cuore al Signore e il Signore vi illuminerà”.
Così mettiamo sotto il suo capo dormiente con fiducia i nostri problemi. Desidero mettere un biglietto per la nostra Chiesa di Taranto. Vorrei innanzitutto sentissimo l’urgenza di questa sinodalità, dobbiamo essere una Chiesa sinodale di cui tanto parliamo.
È stata riportata da uno dei nostri conferenzieri di questi giorni con un po’ di sarcasmo, una provocazione, Papa Francesco gioca la sua ultima carta con la sinodalità, è l’ultima speranza. Prima di ogni sconforto mi sono rincuorato pensando che la sinodalità è l’unica, non l’ultima carta, è l’unica, quella che dà testimonianza di che cosa è la Chiesa, che possiamo e dobbiamo giocare sul tavolo delle nostre comunità. Il Signore metterà sempre nelle nostre mani questa carta vincente del nostro cammino.
Prima di ogni sconforto abbiamo tutti ricevuto nel Battesimo la potenza di essere fratelli, di essere una famiglia, il Signore ha scommesso tutto sulla piccola comunità, la Sua Resurrezione ha invaso ed impermeato il Cenacolo, ha fatto di tanti discepoli divisi tra di loro una cosa sola, un unico cuore, un’unica vita rendendo tutti capaci perfino di perdono; il perdono rigenera, ricrea legami, il perdono che sgorga dalla fontana perenne dell’amore di Dio e che non ci rende più uno giudice dell’altro ma ognuno custode del fratello.
Qualunque sia il proprio ruolo il proprio status metta sul tavolo la carta vincente della sinodalità. Sinodalità come scelta, sinodalità come unico modo di essere nella Chiesa. Quindi dalla fiducia, dalla fedeltà di Dio, alla fiducia, alla Sinodalità.
Nella lettera a Giuseppe dormiente, uomo ordinario e del concreto, scrivo perché la Chiesa di Taranto non dimentichi che la sua credibilità, della nostra Chiesa, dipende dalla capacità di lasciarsi ferire dalle domande della vita quotidiana, delle domande di senso, di aiuto, dalla grande questione della salute, la questione della Custodia del Creato, la questione del lavoro, sono sempre domande che noi affrontiamo ed affronteremo insieme a partire da un cammino sinodale. La festa di San Giuseppe è una delle feste più sentite e popolari, per questo oggi vorrei che arrivasse un saluto speciale alle realtà confraternali di questa nostra diocesi, queste realtà che tanto hanno desiderato si ritornasse a poter vivere le processioni. In questi due anni avete dato prova di vera affezione alla Chiesa, vi siete distinti per le prove di carità, continuate a custodire come San Giuseppe attraverso la testimonianza di una vita cambiata dalla fede, dal riconoscimento della presenza di Cristo che cammina con noi in mezzo a noi.
Dicevo ai miei fratelli vescovi della Puglia che non si può non rimettere sulle nostre strade il Mistero della Croce di Cristo, il Mistero dell’Addolorata, questo è il culmine della bellezza, di una bellezza che si dona nel sacrificio e offre a tutti speranza. Che anche attraverso i riti della Settimana santa gli uomini del nostro tempo possano incontrare questa bellezza ed essere richiamati al Suo amore, alla Sua opera di salvezza. Continuate con questo spirito, con i segni esterni e con la partecipazione profonda del cuore.
In quel biglietto a San Giuseppe chiediamo proprio di fidarci di Dio anche quando i nostri calcoli ci porterebbero a rintanarci nella paura e nel nostro guscio, fidiamoci del Signore. Quando ci siamo abbandonati a lui, il Signore ci ha sempre sorpresi e ci ha ascoltati, proprio questo è l’insegnamento di San Giuseppe, abbandoniamoci a lui ed abbandonarsi a lui non è pura passività senza far niente ma è mettersi in sintonia con il piano di Dio, non dare nulla per scontato, non dare nulla per ovvio, ogni giorno è un giorno nuovo, ogni giorno ricomincia con il sì della nostra fede come ha fatto San Giuseppe, è un dinamismo quotidiano. Il fidarsi non è una cosa statica ma è proprio il cammino di tutti i giorni, è il cammino della vita, il cammino del sì, il cammino della fede di Giuseppe che vede crescere Gesù meravigliato giorno dopo giorno, fidiamoci del Signore camminiamo insieme, portiamo speranza alla nostra gente, generosi nell’accoglienza dei rifugiati. Con i sacerdoti oggi abbiamo parlato di come fare un’accoglienza ordinata dei rifugiati.
Rinnoviamo la nostra fiducia, invochiamo il patrono della Chiesa e come la tradizione ci insegna voglio concludere con la preghiera al nostro Santo:
“A te beato Giuseppe come abbiamo imparato ad invocarti stretti dalla paura dell’odio, della guerra, della malattia, fiduciosi ricorriamo, invochiamo dopo quello di Maria il tuo patrocinio, tu che per amore vero e casto ti sei legato per sempre alla tua sposa e per quell’amore paterno che hai avuto per Gesù, guarda noi che siamo fratelli e sorelle del tuo Figlio, allontana da noi il male, come un tempo hai allontanato le minacce di morte da nostro Signore ancora bambino. Assistici dal cielo perché possiamo condurre una buona vita, morire per il Regno di Dio, conseguire il premio della vita beata”, ché con la protezione di San Giuseppe e di Maria Santissima possiamo essere portatori di speranza in mezzo ai nostri fratelli, in mezzo alle nostre sorelle anche in questo tempo difficile.
Sia Lodato Gesù Cristo