Le domande irrisolte sulla regia delle stragi
È una fotografia riprodotta dovunque, dai giornali alle lenzuola, dai palazzi di giustizia alle scuole, nelle manifestazioni di piazza e mille volte diffusa via web. L’autore è Tony Gentile, un noto fotoreporter palermitano che ha raccontato la Palermo insanguinata degli anni Ottanta e Novanta, la Palermo del 1992, la Palermo delle stragi. Il 27 marzo di quello stesso anno i due magistrati parteciparono a una iniziativa pubblica. Gentile scattò una serie di fotogrammi. Scelse di pubblicarne uno e quello scatto diventò il simbolo della intimità fra due amici, del loro legame, della loro sintonia. Separarli attribuendo a uno inclinazioni di sinistra e all’altro di destra – esaltando la figura di uno e mettendo in ombra quella dell’altro – è un’azione indegna, miserabile, spregevole, che offende la loro memoria. I due avevano delle personalità e delle idee politiche diverse ma lo stesso, identico senso delle istituzioni e dello Stato, che facevano sempre prevalere nelle loro vite, oltre che nelle loro funzioni di magistrati. Puntare su Borsellino piuttosto che su Falcone è una operazione strumentale. Il magistrato palermitano aveva simpatizzato per le organizzazioni giovanili del Movimento sociale e non nascondeva le sue tendenze politiche. Era però, più di ogni altra cosa e sopra ogni altra cosa, un uomo delle istituzioni e mai avrebbe permesso di far entrare le sue idee politiche nel suo lavoro di giudice istruttore, membro del pool antimafia guidato da Antonino Caponnetto che, negli anni Ottanta e Novanta, fu all’altezza di far capitolare una intera generazione di boss di Cosa nostra, ponendo le premesse per l’azione di contrasto successiva alla loro morte da parte della procura di Palermo e delle forze dell’ordine. La strage di via D’Amelio, nella quale morirono il giudice e i componenti della sua scorta, è legata indissolubilmente a quella di Capaci. Ciò nonostante in questi giorni abbiamo assistito al tentativo di isolare il suo sacrificio da quello dell’amico e collega, forse con lo scopo di spingere quelle riforme che non avrebbe mai approvato. Al di là di tutto ciò, intorno alla strage di via D’Amelio ci sono molte verità che ancora tardano ad affiorare e ci sono troppe domande che corrono sottotraccia a queste occasioni e a tutte le altre in cui si piangono le vittime di Cosa Nostra. Per le due stragi, quella di Capaci e quella di via D’Amelio, dopo anni di processi, nel mese di aprile 2006, la Corte d’assise d’appello di Catania condannò dodici persone come mandanti, sentenza confermata a settembre del 2008 dalla Corte di cassazione. Ma la vicenda giudiziaria è molto ramificata e complessa e coinvolge anche gli esecutori materiali. La mafia voleva vendicarsi del pool che aveva istruito il maxi-processo di Palermo? E ancora: perché è scomparsa la famosa agenda rossa di Borsellino? Ci furono dei coinvolgimenti? E se sì, chi fu coinvolto? Persone o apparati dello Stato? In che cosa? In quale modo furono coinvolti? In che misura furono coinvolti? Ma, innanzitutto, perché furono coinvolti? L’Italia è il paese dei misteri irrisolti, purtroppo per vittime e cittadini; quanta e quale parte della politica è stata collusa con la mafia e la sua capacità di spostare masse di voti, in passato? E oggi? E ancora: ma la mafia è stata annientata? E se no, dov’è ora che non uccide più politici, magistrati e giornalisti? Le risposte sono tutte nebulose. Tranne la certezza che la mafia c’è, sebbene oggi si occupi sempre più di faccende economiche a livello internazionale: traffico di stupefacenti e migranti, traffico di armamenti, faccende molto lucrose e meno politiche. Nel contempo, chi vive nelle grandi città la mafia la vede da vicino, come nella capitale, per esempio, in tanti ristoranti del centro che cambiano gestione ogni mese e che espongono menù carissimi. E se sono specchietti per le allodole per il riciclaggio, perché il tutto viene tollerato? Il vero problema è che le domande, nel nostro Paese, sono più numerose delle risposte. Le domande si possono continuare a rivolgerle ogni 23 maggio e ogni 19 luglio, o meglio, si devono rivolgere ogni giorno dell’anno, ma se le risposte tardano ad arrivare oppure non arrivano … Sollevare dei polveroni come quello sorto intorno alle celebrazioni dell’attentato appare molto propagandistico, reclamistico, elettoralistico. Forse è meglio agevolare le inchieste ancora aperte sulle stragi di Capaci e via D’Amelio e far luce sulla regia delle stragi del 1992 e del 1993 che hanno insanguinato per sempre Palermo, la Sicilia e tutta l’Italia.