La prassi delle parole poco pensate porta a …
“Ho avuto l’impressione di un commissario italiano che giocava con la maglia di altre nazionali”. Le parole di Salvini, riferite, senza farne il nome, al commissario europeo per gli affari economici e monetari Paolo Gentiloni, sembravano del tipo “lascia il tempo che trova”, per cui nessuno ha considerato che stessero per aprire un caso politico-diplomatico fra Roma e Bruxelles. Ma il caso, ora, c’è. Lo ha aperto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha appoggiato l’accusa di tradimento della causa nazionale nei riguardi del commissario e ne ha aggiunto un’addizionale: “La Commissione europea che ci ha chiesto per anni di trovare una soluzione al problema ITA, e quando l’abbiamo trovata, la blocca.”. In altre parole, ha accusato Gentiloni di non essere stato di sostegno all’Italia nella vicenda della mancata ratifica da parte della Commissione dell’intesa fra ITA e Lufthansa, dimenticando che l’esecutivo non ha ancora analizzato il dossier e che non si vede cosa avrebbe dovuto o potuto fare il commissario italiano. È scoppiato il putiferio e la Commissione è stata costretta a dire ciò che anche i bambini sanno: i commissari fanno parte di un organo di governo dell’Ue che è indipendente dai governi nazionali. Essi sono nominati dalle autorità degli stati, ma se rispondessero ai loro orientamenti, se, per dirla alla Salvini, infilassero la maglia della nazionale, tradirebbero il loro mandato. L’organismo dell’Ue in cui si manifestano gli interessi dei governi non è la Commissione, ma il Consiglio. Sono i principi, le basi, i fondamenti, che gli studenti delle scuole medie apprendono sui libri di testo di educazione civica, ma che, nelle parole della presidente del Consiglio, sono state declinate in modo anomalo: è vero, ha dichiarato la presidente del Consiglio, che, sulla carta, le cose stanno così, che i commissari sono svincolati dai governi degli stati che li hanno nominati, ma è più che normale aspettarsi da parte loro un occhio di riguardo per chi li ha designati a Bruxelles. Non dovrebbero ma ci si aspetta che … Ma ciò potrebbe avere ripercussioni molto rischiose perché è avvenuto a ridosso del Consiglio Economia e Finanza che la presidenza di turno spagnola ha indetto per giovedì e venerdì prossimi a Santiago di Compostela per avviare il confronto fra i governi e la Commissione sulla riforma del Patto di Stabilità. Dal punto di vista della strategia politica, dare addosso a un commissario può equivalere a mettere in discussione la credibilità e correttezza della Commissione. Appare irragionevole la scelta di inimicarsi quella che sarà la parte avversa nella trattativa che l’Italia dovrà affrontare per sottrarsi all’alternativa che potrebbe trovarsi davanti: l’abolizione della messa in mora del Patto com’era prima della sospensione per la pandemia e il ritorno alle tradizionali condizioni capestro oppure una guerra con i paesi del nord Europa, desiderosi di reintegrare le condizioni della disciplina di bilancio nel segno del rigore. Per evitare di essere dinanzi a questa alternativa, la Commissione ha presentato un progetto di riforma del Patto che introduce limitate prospettive di flessibilità, tempi più lunghi per le correzioni e i rientri nei parametri e, in più, dei criteri di giudizio del debito diversi paese per paese e tali da tener conto delle condizioni e delle politiche economiche. Paolo Gentiloni, che è il commissario all’Economia, ha avuto un ruolo essenziale nella elaborazione della proposta di riforma, e ha gestito in un modo per nulla ostile all’Italia il dossier degli obiettivi del PNRR. Inimicarselo sembra un segnale di insipienza politica nel momento in cui si tratta di incominciare il negoziato per migliorare, dal punto di vista degli interessi nazionali tanto cari al governo, la proposta della Commissione cercando, nel frattempo, alleati nelle cancellerie europee e a Bruxelles. Possibile che la presidente del Consiglio non si sia resa conto del guaio in cui si infilava alla vigilia dell’avvio del dibattito sul Patto di Stabilità? Ma non è escluso che la mossa sia stata un riflesso di una qualche cosa di più profondo rispetto alle valutazioni strategiche sul momento. E nella concezione sovranista dell’Europa, la Commissione, con i suoi poteri e il suo ruolo di governo, non avrebbe alcun ruolo. Gli inviati dagli stati a Bruxelles sarebbero portatori degli interessi nazionali e per questo fatto tenuti a indossare le maglie delle proprie nazionali. L’opinione che un commissario inviato dall’Italia a Bruxelles debba esprimere gli interessi nazionali e obbedire al governo corrisponde al substrato di concezione di confederazione che diversi segnali ci indicano esistere nell’atteggiamento del governo verso le istituzioni europee. La conversione all’europeismo elargita alla presidente del Consiglio non è così credibile quanto la maggioranza dei giornalisti politici vogliono far credere. Si pensi che la presidente del Consiglio non ha mai annullato il disegno di legge di revisione costituzionale per sostenere la preminenza del diritto nazionale su quello dell’Ue. Posizione, questa, pronunciata anche in dichiarazioni ufficiali con il governo europeo più corrispondente, cioè quello polacco. E ciò può compromettere la forza negoziale dell’Italia nella contingenza della discussione sulla riforma del Patto di Stabilità e rischia di isolare il governo sul problema più delicato e nel momento più delicato per l’avvenire dell’Italia.