Quando le parole sono merce
Le parole hanno valore, hanno un senso preciso o sono solo oggetti astratti intercambiabili? Questo ci si chiedeva, qualche sera fa, in una seguita trasmissione televisiva, uno di quei talk show in cui si parla tanto per rimanere ognuno della propria opinione?
Sì le parole hanno valore, ma come per ogni cosa, il loro valore dipende dal “mercato”. Come diceva una grande filosofa, Agnes Heller, in una società dominata dal mercato, anche le teorie e le parole sono mercificate.
In un paese che ha gravi problemi come l’Italia, la politica dovrebbe occuparsi del benessere dell’uomo, quindi: della salute, del lavoro, della scuola, della qualità della vita. Questi argomenti dovrebbero sempre avere il sopravvento in ogni talk show e in ogni inchiesta televisiva si dovrebbe discutere sul modo di migliorarli. Ma è evidente che salute, lavoro, scuola e qualità della vita sono argomenti difficili da affrontare e risolvere. Soprattutto perché interessano in maniera tanto maggiore quanto più si parte dal basso, dai poveri. Cosa volete che importi la sanità, la scuola, il lavoro, agli straricchi che possono comprare la salute spendendo a piacimento, che possono inviare i figli a studiare ad Harvard, che hanno tutto ciò che serve per godersi la vita?
Ma i problemi dei poveri, in questo momento, interessano poco, perché la loro soluzione richiederebbe tanto denaro da spendere e tanto denaro non c’è, se si favoriscono le classi più ricche con i condoni, con l’evasione fiscale, con i privilegi, con la flat tax solo per gli autonomi, se si punta all’autonomia differenziata nella quale le regioni più ricche tratterranno tutta la ricchezza prodotta nel proprio territorio e così via.
Ecco, allora, che per distrarre l’attenzione dei non ricchi dai grandi problemi che li assillano, si utilizzano argomenti e parole di distrazione di massa. Si spendono settimane a discutere della pubblicità della pesca, delle frasi dei ministri che poi, per scusarsi, si autodichiarano ignoranti, di sostituzione etnica, di transumanza. E intanto l’impotenza del governo passa in secondo piano. Abbiamo ascoltato persone autorevoli affermare pubblicamente che quello che si dice in campagna elettorale non ha importanza e che chi vince le elezioni può rimangiarsi quello che aveva detto per fare propaganda. Ma la propaganda fine a se stessa non era proprio il sistema, il modo di affermarsi del fascismo? Lo abbiamo studiato nelle scuole di comunicazione: la propaganda gridata è populismo e demagogia: si sventolano parole di odio, si incolpano i migranti come capro espiatorio come un tempo si incolpavano gli ebrei, si propagandano i valori della famiglia anche se tutti coloro che la propagandano non sono sposati o di famiglie ne hanno tre o quattro e assieme a queste anche compagni e compagne. Si propaganda Dio come fosse un accessorio, anche se non in chiesa non si va dalla prima comunione e la patria, che è proprio il limite che volevano superare Altiero Spinelli e i costruttore dell’Europa.
Andiamo a letto dopo essere stati gonfiati di rancore e così dimentichiamo che lo stipendio e la pensione ci bastano a malapena per sopravvivere, che tutti i nostri figli sono andati via, che puoi curarti solo se paghi. Qui non c’entrano niente i migranti, ma avere qualcuno da odiare mi tranquillizza. Finché questa destra non è andata al governo, il problema dei migranti era sceso al 12mo posto tra i miei problemi (miei e di tutti gli italiani naturalmente) ma è bastato il segnale del capo e il problema è tornato al primo posto come quanto era Salvini il ministro degli Interni. Se volessi essere ironico direi: ma non è che il ponte sullo Stretto lo vuole fare così i migranti dalla Sicilia possono venire in Italia a piedi?