Don Fabio Massimillo ci spiega la sua nuova raccolta di canti sacri
“In questo nostro tempo pieno di sfide, di incertezze e dolori, di confusione e di sconfitte, Massimillo ci propone di ascoltare e di cantare il Signore. Questa proposta continua, come anni or sono, fresca, però musicalmente molto matura. La bellezza delle nuove melodie ci invita allo stupore; l’arte del contrappunto si apre la strada in uno stile nuovo e fresco, mentre le armonie si intrecciano per fare ancora più bello il senso del testo musicato. E niente di tutto questo è dato per scontato”.
L’autore di cui si sta parlando è il maestro don Fabio Massimillo, sacerdote, liturgista e compositore di fama internazionale, tra l’altro direttore del coro dell’arcidiocesi diocesi di Taranto, che ha da poco dato alla luce una nuova raccolta di canti edita dalle Edizioni Paoline: “Abbiamo visto il Signore”
L’autorevole giudizio è di padre Jordi-A. Piqué i Collado osb, preside del Pontificio Istituto liturgico di Roma, dove per altro Massimillo si è specializzato in Sacra Liturgia. Sempre a Roma, presso il Pontificio Istituto di musica sacra, per così dire il “conservatorio del Vaticano”, si è laureato in composizione, dove attualmente offre il suo contributo come docente di composizione.
Quest’ultimo lavoro di don Fabio è un’ideale percorso della celebrazione della Messa, composto da 13 brani, con alcuni testi ufficiali del “proprio della Messa” che provengono dal Messale, mentre altri sono liberi adattamenti di testi scritturistici che ha elaborato lo stesso Massimillo.
Afferma il preside Piqué, anch’egli compositore, ex direttore della prestigiosa Escolania de Monserrat, “mi trovo davanti ad un autore particolarmente maturo, capace di saper creare simbiosi tra testi e musiche, in una particolare e affascinante maturità artistica che si presenta in questa pubblicazione”.
A don Fabio abbiamo chiesto:
Che significato ha per te esercitare il ministero sacerdotale attraverso la musica?
Mi colpisce molto di come il Signore si serva di un’arte per toccare il cuore della gente per muoverlo verso di Lui. Ai compositori è dato un compito molto delicato, “inventare” ovvero cercare melodie che siano aderenti al testo, che ne esprimano l’efficacia perché i fedeli, come diceva già san Pio X nel 1903, siano maggiormente disposti a ricevere i frutti della grazia. In questi anni per me sacerdozio e musica si sono intrecciati in un modo straordinario. È molto bello vedere come la gente ti sia grata per un canto o per un altro perché l’abbia consolata in un momento di particolare sofferenza, o anziani in solitudine che ascoltano i miei canti per pregare. In questi anni ho potuto constatare anche la gratitudine di tanti seminaristi, o suore, che mi hanno scritto perché hanno sentito coraggio nel cammino attraverso miei canti. Ma il merito non è il mio, ma della Parola di Dio. La musica però dà alla Parola una forza tale che la fa rimanere impressa nella mente e nel cuore e crea un circuito d’amore verso Dio e i fratelli.
Quando hai iniziato a creare?
I primi canti sono stati scritti nella solitudine della mia stanza in seminario e mai avrei pensato che sarebbero usciti da lì. Con il passare del tempo, pian piano, si sono sparsi fino ad essere stati pubblicati e molti sono stati tradotti in diverse lingue del mondo. Di questa ultima raccolta c’è addirittura il canto finale che hanno tradotto in coreano. Quando mi hanno mandato lo spartito mi ha fatto impressione!
Il canto liturgico dà un significato particolare alle celebrazioni e alle dimensioni comunitarie.
Il canto è parte integrante della liturgia e in quanto tale, come dice il Concilio, ne partecipa il fine che è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. Nelle nostre assemblee purtroppo assistiamo spesso al contrario, ovverosia alla glorificazione del coro e alla mortificazione dell’assemblea. Questo non deve accadere e credo che ci sia molto da lavorare a partire da una seria formazione nei seminari prima e negli studi teologici poi. Un’altra importante responsabilità è data ai parroci che devono sapere che la Chiesa non ha abbandonato la scelta dei canti al loro libero arbitrio. Esistono i libri dei canti ufficiali (molti preti non sanno che il primo libro dei canti è proprio il Messale romano!). Nella Liturgia non si fa ciò che piace o ciò che non piace, ma si dovrebbe fare ciò che è previsto perché ha un senso. Il modello di tutto questo discorso lo troviamo nelle antifone del triduo pasquale, ma qui non abbiamo spazio a sufficienza per parlarne.
Quali obiettivi si pone il compositore di musica sacra?
Il compositore di musica sacra deve essere anzitutto un compositore, non un musicista che si “improvvisa” compositore. Deve conoscere bene tutte le tecniche compositive perché solo chi sa fare le cose più complicate sa poi lavorare per semplificazione. Si pensi, infatti, se si dovesse affidare la costruzione di un edificio non ad un ingegnere, ma semplicemente ad una persona di buona volontà. Dopo un po’ crollerebbe tutto. In secondo luogo un compositore di musica sacra deve essere disposto a saper fare con grande umiltà delle rinunce: in conservatorio siamo abituati a fare cose molto complesse e articolate che, se eseguite, ci danno molta soddisfazione, ma questo durante la Messa, se si vuole garantire la partecipazione dell’assemblea è impossibile. Bisogna con umiltà mettersi sotto la Parola di Dio, coglierne la potenza, scegliere delle melodie che diano il carattere dell’universalità, nel senso che da una parte slancino verso il cielo, dall’altra creino delle singole membra, un corpo solo, un’anima sola. E ricordiamoci sempre di una cosa: la liturgia romana sin dai suoi esordi non conosce i riti non cantati, e tutto ciò che non si canta si può omettere, ad esempio l’omelia (ride).
Gli obiettivi sono quelli di promuovere l’incontro con Dio attraverso un’espressione intensa e partecipata, nella quale la preghiera diventa collettiva, unitaria, disciplinata. La musica ha la potenzialità di dare all’incontro una modalità artistica e un’emozione condivisa, per una preghiera che è allo stesso tempo intima e coinvolgente.