VI Giornata mondiale dei poveri – Chi sono i poveri? Viaggio in una parrocchia di periferia
La povertà si sconfigge con la condivisione: queste le parole di mons. Fisichella alla presentazione del Messaggio di papa Francesco per la VI Giornata mondiale dei poveri, in programma il 13 novembre prossimo dal titolo: “Gesù Cristo si è fatto povero per voi” (cfr 2 Cor 8,9). Dopo la pandemia, è la guerra ora colpire, e duramente. Anzitutto la vita del martoriato popolo ucraino, e poi, a cascata, la stabilità economica di chi già versava in situazioni più che precarie. Una condizione difficile, che incide sulla vita di migliaia di famiglie sempre più in affanno nell’arrivare a fine del mese e a provvedere, in maniera autosufficiente, alle cosiddette spese fisse, quelle che in famiglia non mancano proprio mai. Ed è su questo fronte che l’azione della chiesa e delle parrocchie si è fatta da qualche anno più intesa e concreta. Da una parte con la distribuzione di pacchi alimentari, dall’altra sostenendo in maniera totale o parziale il pagamento diretto di bollette, affitti e, a volte, rate di mutuo. Il Sir ha visitato una parrocchia della periferia romana, per ascoltare la testimonianza di uno dei tanti parroci in prima linea nella carità verso i più bisognosi. “Nel nostro territorio parrocchiale – esordisce il parroco – non ci sono i poveri di strada, quelli cioè che siamo abituati a incontrare davanti alle chiese, nelle zone centrali o in quelle ad alta frequentazione turistica. Qui i poveri si mimetizzano nel tessuto sociale, gente apparentemente normale ma tutti con un equilibrio economico molto fragile e in molti casi con entrate legate alla giornata”.
“Il controllo dell’Isee – spiega il parroco – è la prima discriminante per ricevere l’aiuto economico. Segue poi una visita a casa e la necessaria raccolta di informazioni tra la gente del posto.Una procedura che abbiamo adottato per essere sicuri di trovarci di fronte ad una reale necessità. Ci sono persone che aiutiamo periodicamente, altre una tantum. I pacchi alimentari arrivano grazie agli aiuti della Comunità europea e quando manca qualcosa la si acquista con il denaro della parrocchia. A volte consegniamo direttamente carte prepagate per la spesa al supermercato. Non mancano i “furbetti”, quelli cioè che sulla base del proprio Isee chiedono aiuto nascondendo però la presenza di altri redditi che, se sommati, farebbero automaticamente superare il limite. In alcuni casi ce ne siamo accorti solo dopo diverso tempo, ma questa purtroppo è la situazione”.
E le bollette?
“Per quanto riguarda le bollette – specifica il parroco – anzitutto c’è da dire che raramente paghiamo quelle relative all’affitto. Il nostro è un quartiere di case popolari, con affitti abbordabili, riteniamo quindi che sostituirci nel pagamento della rata equivarrebbe a deresponsabilizzare la persona. C’è un fenomeno di evasione già molto alto e non vogliamo contribuire ad aumentarlo. Il caro energia poi – prosegue – ha fatto aumentare non tanto il numero di chi chiede il pagamento di un’utenza, quanto invece la cifra della bolletta stessa. La mia scelta quindi è pagare, ma solo le utenze di chi conosco. Decido io in prima persona dopo aver ascoltato il parere del responsabile della Caritas. La seconda discriminante è legata quindi alla persona, deve essere cioè qualcuno che già conosciamo o seguiamo da tempo. Di solito non paghiamo al buio per gente che non abbiamo mai visto.E questo perché i fondi sono limitati e dobbiamo utilizzarli con attenzione a partire da chi ha più bisogno. L’aiuto poi è diversificato: ci sono persone o famiglie che hanno attraversato lunghi periodi di difficoltà e magari sono stati sostenuti anche per due anni. Altre invece sono entrate in difficoltà in seguito alla perdita del lavoro (spesso in nero) e ogni tanto si presentano in parrocchia chiedendo sostegno per una bolletta”.
Non è facile scegliere tra povero e povero…
“I veri poveri nella stragrande maggioranza dei casi non vengono mai a chiederti aiuto.
C’è gente che non chiede nulla, non chiede aiuto, per vergogna e dignità personale o per orgoglio. Quando allora mi giunge voce di qualcuno che ha realmente bisogno, sono io che chiamo e insisto per poterlo aiutare.
Come si sostiene la parrocchia?
Gli aiuti economici alla parrocchia arrivano in gran parte dalla diocesi, a questi si sommano le offerte settimanali della comunità che in questa realtà ammontano a circa 400 euro a settimana cui vanno aggiunte offerte speciali di donatori esterni. Anche la parrocchia ha le sue spese fisse, le proprie utenze, i materiali, le pulizie le ristrutturazioni … tolto tutto ciò, quello che rimane, vale a dire circa il 30%, è destinato ai poveri sotto forma di pacchi alimentari extra e pagamenti vari. Una cifra che si aggira ogni anno intorno ai 9mila euro.
Intervenite anche in qualche altro modo?
“Certo, non c’è solo l’aiuto materiale, è indispensabile puntare anche sull’aspetto educativo. Spesso ho a che fare con persone che, come diciamo da queste parti “ci provano”! Gente cioè che bussa alle porte della chiesa con un approccio da bancomat provando a mettere in piedi l’ennesimo tentativo di ottenere qualcosa. Persone che in realtà non vivono un bisogno impellente, cui è giunta voce che “la parrocchia aiuta” e che quindi provano a vedere se è possibile rimediare qualcosa. Ma la cosa che più mi colpisce è che alcuni di quelli che aiutiamo, potrebbero tranquillamente farcela da soli e non lo fanno, o perché non hanno voglia oppure perché spendono il denaro per futili motivi. Abbiamo persone ad esempio, che prendono i pacchi alimentari perché hanno speso tutto il loro stipendio (o quasi) per il cane. Ricordo un uomo che ha speso addirittura 2000 euro per far fare un’operazione al proprio animale. C’è anche chi, malgrado i problemi economici, non riesce a dare un taglio a certe abitudini, a smettere di fare determinate cose. Ricordo una donna, con un passato di alto livello sociale che, dopo aver venduto tutti gli oggetti di valore, preferiva chiedere il pacco alimentare anziché privarsi, ogni fine settimana, di una seduta dal parrucchiere. La povertà poi è anche una conseguenza dello sfaldamento delle unioni affettive. La maggioranza delle persone che vengono a chiedere aiuto hanno alle spalle una separazione con figli, oppure si sono risposati mettendone al mondo altri”.
Quindi…
“Voglio dire che tutto questo evidenzia un livello culturale basso, pressoché inesistente. E così alla povertà materiale si aggiunge quella culturale che paradossalmente è ancor più difficile da debellare.
Oggi a fare cultura è la televisione, soprattutto quella di bassa qualità. Molti dei nostri poveri dipendono dalla televisione. È la grande maestra del nostro tempo.Magari non hanno soldi ma non rinunciano all’ultimo modello di cellulare. Si riempiono di tatuaggi cercando di imitare persone famose, o inseguono “status symbol” che, nelle loro condizioni, non solo sono inarrivabili ma rischiano di rasentare l’assurdo. Bisognerebbe staccarli da quelle insulse trasmissioni televisive. E non si riesce a farglielo capire. Alle prime comunioni sfoggiano carrozze, limousine e auto di lusso. Addirittura una volta, un uomo, per accompagnare la figlia, si è presentato in parrocchia con la Ferrari … qualche giorno prima lo avevamo aiutato con i pacchi. A volte si rivolgono alla parrocchia rivendicando il diritto ad essere aiutati. Ricordo il caso di una donna e del suo bambino malato. Venne a chiedere aiuto e lo abbiamo fatto. In seguito però, consultando Facebook, abbiamo scoperto che qualche giorno prima era andata in vacanza in un albergo con piscina. Sprecano soldi per futili motivi e poi alla fine non riescono a pagare le bollette. Mi domando allora: “da dove nasce questa idiozia? Che cosa devo pensare? E la risposta è sempre la stessa: la povertà culturale è talmente alta che impedisce di capire”.
Cosa può fare allora Chiesa per contrastare questa povertà?
“Bisogna alzare il livello culturale! È ciò che sto tentando di fare – riprende – portare le persone della comunità a respirare qualcosa di diverso. Da qualche tempo organizziamo visite guidate a chiese importanti e musei della capitale, portando i parrocchiani a visitare luoghi nei quali non sarebbero mai andati. A settembre poi vorrei iniziare con un laboratorio teatrale. Alla comunità di Sant’Egidio ho chiesto di interessarsi del doposcuola per i bambini. L’obiettivo è partire dal basso, recuperare questi ragazzi dando loro la giusta istruzione con la speranza di non perderli tutti. Mi rendo conto che non ho la soluzione in tasca ma proviamo a fare qualcosa.
Che impatto ha avuto Il Reddito di cittadinanza?
Devo riconoscere che la misura del Reddito di cittadinanza ha aiutato molte persone, forse però, sarebbe opportuno collegarlo a lavori socialmente utili, per lo meno per chi è in grado di svolgerli.
Credo infatti sia uno strumento importante e utile, ma a mio avviso andrebbe rivisto.
Non sono poche le persone infatti che, per un motivo o l’altro, hanno smesso di cercare lavoro. Io stesso ho avuto difficoltà ad assumere, con regolare contratto, una collaboratrice parrocchiale. Alcuni, dopo aver visto che lo stipendio era pari alla cifra del Reddito di cittadinanza, hanno preferito rimanere a casa integrando quell’entrata con del lavoro a nero. Abbiamo insomma a che fare con sfumature di varia umanità. Per questo – conclude – diciamo che non credo al povero a scatola chiusa. Credo invece ai poveri veri, quelli nascosti, quelli che mi segnalano i miei collaboratori, quelli che non vedi quasi mai e che quasi mai vengono a chiederti qualcosa. E una volta trovati vado a visitarli, indago personalmente e poi muovo in base alle esigenze. E quando riusciamo a fare qualcosa di buono, alla gratitudine di chi è stato aiutato si unisce anche la nostra gioia”.