Pietro e Paolo: l’uno apre, l’altro fa entrare
Siate forti nella fede, incita l’uno. Guai a me se non predicassi il Vangelo, afferma l’altro. Il Roccia, Kefa, come lo chiamò Gesù. Saul divenuto Paolo, l’Apostolo delle genti
Chi conosce quel luogo, così carico della forza dell’annuncio evangelico della chiesa dei primi secoli che è Aquileia con tutto suo patrimonio archeologico, non può non aver sostato dinanzi ad un bassorilievo calcareo, scoperto nel 1901 nell’area della basilica paleocristiana dedicata ai martiri Felice e Fortunato, sita nella parte sud-orientale della cittadina.
La lastra viene fatta risalire a poco tempo dopo l’Editto di Milano del 313 e presenta due volti maschili che la tradizione ha indicato come Pietro e Paolo.
Lo scultore, ignoto ma celeberrimo ai nostri occhi, ha lasciato l’opera inconclusa: qualche barbaro glielo ha impedito? Non è riuscito a portare a termine il suo lavoro perché colto dall’eccessivo peso, non solo artistico ma di profonda fede, che stava uscendo dalle sue abili mani ma che scaturiva dal suo cuore?
Due volti con caratteristiche fisionomiche diverse, tagliate con durezza che non sollecitano lo spirito ad una sorta di vagheggiamento interiore ma spingono ad una reazione che fa nascere l’interrogativo dilaniante e salvifico di ogni credente: questi due profili che si scrutano da che cosa sono accumunati? Sono parenti o amici? I due, così diversi e dallo sguardo penetrante, si abbracciano perché hanno incontrato il “Chi” della loro vita
Siate forti nella fede, incita l’uno.
Guai a me se non predicassi il Vangelo, afferma l’altro.
Il Roccia, Kefa, come lo chiamò Gesù.
Saul divenuto Paolo, l’Apostolo delle genti.
L’uno conobbe il Signore Gesù, con Lui visse e condivise il suo quotidiano, i vangeli lo presentano come pescatore, discepolo e poi apostolo, umile, docile e modesto, impulsivo, debole e incostante, ricco di entusiasmo e fervore, bruciante d’amore. Il Messia di lui fece il capo. Proprio il Roccia esclamò ‘Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente’.
L’altro Gesù non lo conobbe, fu scriba e rabbi servendo il maestro Gamaliele, fariseo e zelante, radicale oppositore e persecutore dei cristiani. Il “Chi” irruppe nella sua vita sulla strada di Damasco, la Sua luce lo trapassò e si votò all’annuncio del Vangelo: la grazia si è compiaciuta di rivelare in me suo Figlio. Si trasformò nell’Apostolo delle genti.
Francesco insegna: La fede in Gesù Cristo li ha resi fratelli e il martirio li ha fatti diventare una sola cosa.
Entrambi, con le loro vicende personali ed ecclesiali, dimostrano e dicono a noi, oggi, che il Signore è sempre al nostro fianco, cammina con noi, non ci abbandona mai. Specialmente nel momento della prova, Dio ci tende la mano, viene in nostro aiuto e ci libera dalle minacce dei nemici.
Alle radici profonde delle fede, ai tempi primordiali della chiesa nascente, ecco celebrata la diversità che può scorrere nel nostro seguire Cristo e nell’aderire alla Chiesa. Benedetto XVI lo ha espresso: I due Santi patroni di Roma, pur avendo ricevuto da Dio carismi diversi e missioni diverse da compiere, sono entrambi fondamenta della Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.
Uniti dallo slancio che li pervadeva: tutto per Cristo, fino al sangue versato.
Nulla sappiamo della fine della loro vita ma la tradizione li avverte testimoni della fede insieme a Roma, nello stesso giorno, due profili diversissimi ma intimamente uniti, e il graffito sull’intonaco del “muro rosso” è indiscutibile ed attesta: “Pietro è qui”.
Il prefazio gallico risalente al VII secolo, con poche e sobrie parole, coglie non solo l’identità ma anche la missione dei due testimoni: Pietro ha rinnegato per credere meglio, Paolo è stato accecato per vedere meglio… l’uno apre, l’altro fa entrare: entrambi ricevono il Regno eterno.