Adesso è in gioco il futuro del mondo
Gira e rigira, dagli oggi e ridagli domani, a furia di dire e di ridire che il mondo stava cambiando, il mondo è cambiato per davvero. È ciò che è venuto a galla dai tre summit – Consiglio Europeo, Vertice G7 e Consiglio Nato – che, in meno di una settimana, hanno preso atto di un cambiamento iniziato, in realtà, molto prima dell’aggressione dell’Ucraina, ma diventato irreversibile dal 24 febbraio scorso. Che, poi, il mondo sia cambiato in peggio, lo hanno compreso tutti e ce ne stiamo rendendo conto tutti, giorno per giorno. Ma il problema è che le cose potrebbero peggiorare di più e molto più seriamente. Specialmente se Putin vincesse, come sta, purtroppo, anche se non irrimediabilmente, avvenendo. È inutile fingere di non sapere: sotto quel martellamento ininterrotto, di raid aerei, di missili e di colpi di cannone, che avanza come un fronte di fuoco carbonizzando tutto al proprio passaggio, compresi i centri commerciali e i palazzi pieni di innocenti, è praticamente impossibile resistere. In realtà, lo stato maggiore ucraino ha ordinato una serie di ritirate, definite tattiche, ma che ritirate, sia pure parziali, restano. Tutto ciò dovrebbe, forse, consigliare una capitolazione? Allora è chiaro che molti non hanno ancora capito di che pasta sono fatti gli ucraini. È conosciuta la loro tenacia, la loro caparbietà, la loro ostinazione, la loro perseveranza. Probabilmente è anche per distruggere ogni traccia di un passato per lui imbarazzante e pieno di sinistri presagi che lo zar di tutte le Russie, passate, presenti e future, ha fatto sgraffignare dal museo della storia locale di Melitopol, nell’Ucraina sudorientale, ora sotto il controllo militare russo, molte decine di manufatti in oro, argento e bronzo appartenuti ai lontani progenitori di un popolo che, stando al suo augusto parere, non merita nemmeno di esistere sulle carte geografiche. È il nuovo, preoccupante collegamento con Hitler, per via della nota passione del Fuhrer e dei suoi spietati gerarchi per il patrimonio artistico europeo razziato sistematicamente per finire nei musei del Terzo Reich a simboleggiare il successo del nazismo sugli odiati sistemi democratici e liberali. Per i quali oggi – questo è il senso vero dei tre summit di cui all’inizio – è arrivato il momento di prendere atto che la Guerra Fredda, cominciata al termine della seconda guerra mondiale, in realtà, non è mai finita. O, per lo meno, non è mai finita per chi ha solo finto di rinunciare ai propri progetti egemonici. Lo si arguisce dalla mostrata irritazione con cui Putin ha reagito all’allargamento della Nato a Svezia e Finlandia, per altro da lui stesso determinato proprio aggredendo l’Ucraina e senza che la stessa simboleggiasse la benché minima provocazione militare per la Federazione russa. È inutile cercare di ragionare con chi, succube oppure complice della propaganda del Cremlino, si intestardisce a sostenere il contrario. Lo si capisce ancora più chiaramente dai toni furibondi con cui Pechino ha etichettato l’esito del vertice Atlantico di Madrid argomentando di “sfida sistemica alla pace e alla stabilità nel mondo”. Affermazioni surreali, visto che provengono da chi ogni due per tre non fa che ripetere di essere pronto a invadere Taiwan. Ma, in realtà, più che comprensibili considerata la preoccupazione del Dragone di non potere più agire indisturbato nel cortile di casa inteso da Pechino come tutta l’area che va dall’Asia al Pacifico e da lì all’Africa e perfino all’America Latina. Per farla breve, in concreto tutto il globo terracqueo meno – bontà loro! – Stati Uniti ed Europa, ma solo quella che finisce dove iniziava la vecchia Cortina di ferro. Basterebbe questo per rendersi conto che la sfida che ci rincorrerà negli anni a venire sarà fra il nuovo imperialismo incarnato dall’asse Mosca – Pechino e il fronte delle democrazie che, in Occidente ma non solo, non intendono farsi demolire o sottomettere pezzo dopo pezzo. La prima linea di questa sfida, oggi, è l’Ucraina. È per questo che è non solo moralmente doveroso ma anche un preciso, diretto interesse – se vincono Putin e Xi Jinping il pallino su guerre, siccità, carestie, rincari dell’energia, cambiamenti climatici e riscaldamento globale saranno loro ad averlo in mano – fare tutto il possibile e fino a quando sarà indispensabile per sostenere la resistenza del popolo ucraino. Se si cessasse di farlo, ci si ritroverebbe in acque ancora più infide e tempestose. Il che vale anzitutto per il mare Mediterraneo, che l’Italia, per prima, ha tutto l’interesse a togliere al dominio degli avversari strategici – la Libia è piena zeppa di mercenari russi – dato che da lì transiterà la maggior parte dei futuri approvvigionamenti energetici. Sempre lì si scommetteranno i destini di un’altra partita decisiva: quella migratoria. Il mondo è cambiato e cambierà ancora. Soltanto affrontandolo uniti si potrà sperare di non finirne travolti.