Fra incertezze e ipocrisie
Da fondatore a imputato. Lo Stato di Israele fu tra i fondatori della Corte internazionale di Giustizia, che ha sede all’Aia, il più rilevante organo giudiziario dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. È stato il Sudafrica a trascinare Israele in questo tribunale, accusandolo di violare l’articolo 9 della Convenzione di Ginevra, per la prevenzione del genocidio, oltre che lo Statuto di Roma che, per la prima volta, definì il reato di genocidio. Il Sudafrica accusa il premier Benjamin Netanyahu, il suo esecutivo e la maggioranza che, al momento, lo sostiene, di coltivare “l’intento specifico di distruggere i palestinesi di Gaza”. Israele, com’è immaginabile, respinge ogni accusa e, anzi, si definisce vittima di un tentativo di genocidio, quello cominciato da Hamas con l’attacco terroristico del 7 ottobre. Prevedere come andrà a finire, è pressoché impossibile. In ogni caso, e in qualsiasi modo vada a finire, questo processo è indubbiamente destinato a lasciare un segno profondo nel dibattito politico internazionale. È bene puntualizzare che la Corte internazionale di Giustizia non ha relazioni di parentela, nemmeno alla lontana, con la Corte penale internazionale, anche se entrambe hanno sede all’Aja. Così come è stato già detto, la prima è un organo giudiziario dell’ONU, mentre la seconda è assolutamente indipendente. Quest’ultima si occupa di crimini di guerra e contro l’umanità eseguiti da individui invece la Corte internazionale di Giustizia si occupa di controversie fra gli stati membri delle Nazioni Unite e regola l’applicazione del diritto internazionale. La sua sentenza sul genocidio di Gaza, in ogni caso e in qualsiasi modo vada a finire, farà giurisprudenza e servirà da precedente per le sentenze successive. La Corte può deliberare le cosiddette “misure cautelari”, può, cioè, sancire, per esempio, che le forze armate israeliane devono interrompere i combattimenti e autorizzare gli aiuti umanitari ai palestinesi di Gaza. Può, ma non è detto che lo faccia. Se si studiano i precedenti, si nota che nel 2015, dopo un interminabile dibattito, la Corte internazionale sentenziò che, fra il 1991 e il 1995, in Croazia e in Serbia non vi fu un genocidio. Quanti ricordano che a marzo del 2023 la Corte internazionale di Giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, aveva intimato a Vladimir Putin di fermare la sua guerra per il rischio di “genocidio”? La storia della giustizia internazionale è molto lunga e contraddittoria. Dopo la seconda guerra mondiale, dopo la fine della guerra fredda, negli anni novanta, tutti hanno prestato fede all’avvento di un mondo responsabile e che abbia cambiato logica con la Corte penale internazionale. Gli artefici del trattato firmato a Roma, il 18 luglio ’98 nella sala della Protomoteca del Campidoglio, pensavano che la esistenza di un tribunale indipendente avrebbe avuto un effetto dissuasivo: a cominciare dal serbo Milosevic e fino al liberiano Charles Taylor, nessuno sarebbe sfuggito alla giustizia. Ma gli antagonismi, le contese, i dispetti, i puntigli e le rivincite fra le nazioni, alla fine, hanno sempre la meglio. Il sudanese Al Bashir non è mai stato sul banco degli imputati, nonostante un mandato di arresto internazionale. Stessa cosa per Putin e Netanyahu, come Putin, non sospenderebbe le operazioni militari, anche se la Corte glielo ordinasse. In questo stato di totale incertezza sta il peso del gesto del Sudafrica: se Israele fosse condannato, sarebbe una non vittoria dei palestinesi, che continuerebbero a prendersi le bombe, ma un successo del fronte dei paesi che ritengono discriminatorie le politiche occidentali e puntano a logorarne la presa. Al contrario se la Corte manderà assolto Israele, la vittoria sarà dei paesi come Cina e Russia, che direbbero al Sud del mondo: “Ecco, avete visto? Loro possono permettersi ciò che vogliono, noi vi rispettiamo e vi trattiamo alla pari!”. Messaggio ipocrita ma che, come dimostrano i numerosissimi varchi trovati dalla Russia per aggirare le sanzioni, ha già raggiunto molte orecchie. Considerazioni transitorie e finali, solo per contribuire alla riflessione. Chi analizza questo momento di caos universale, sa che Pulcinella chiama a testimone la moglie ma, in questo caso, la chiama a fare da giudice. È immaginabile la creazione di un Tribunale dell’Umanità, magari formato da premi Nobel per la pace, per giudicare i crimini di guerra e quelli contro l’umanità compiuti da stati e da individui, che emettano sentenze che hanno forza di legge?