La domenica del Papa – Essere discepoli
Il Vangelo di Giovanni ci porta ancora sulle rive del Giordano: è il giorno dopo il battesimo di Gesù e sono le quattro del pomeriggio. Questa indicazione temporale è, tutto sommato, ininfluente rispetto ai contenuti della pagina evangelica. È trascorso solo un giorno dalla discesa dello Spirito Santo su Gesù e lui passa di nuovo, Giovanni Battista lo vede tra la folla “fissando lo sguardo” sull’”agnello di Dio”. Con queste tre parole Giovanni, nel quarto Vangelo, si lega alla tradizione veterotestamentaria riguardante, da un lato, la vittima offerta a Dio per il riscatto dal peccato, dall’altro la figura del servo sofferente, temi cari alla tradizione profetica. Annota l’evangelista: è l’ora decima, circa le quattro del pomeriggio.
Diversi anni sono passati da questo fatto quando l’evangelista ha scritto il Vangelo – secondo gli studiosi il testo è stato redatto molto probabilmente a Efeso, tra il 60 e il 100 dopo Cristo – quanti incontri, episodi, parole; e poi dopo la risurrezione quante riflessioni, ricordi. Eppure, Giovanni ricorda l’ora esatta di quell’incontro.
Proprio da qui si sviluppa il pensiero di papa Francesco, in questa seconda domenica del tempo ordinario, che domanda: “quando ho incontrato Gesù per la prima volta?” Così chiede di fare memoria del nostro primo incontro con il Signore, di quando ha toccato il nostro cuore: “siamo ancora discepoli innamorati del Signore, cerchiamo il Signore, oppure ci siamo accomodati in una fede fatta di abitudini? Dimoriamo con lui nella preghiera, sappiamo stare in silenzio con lui?”
Essere discepoli non significa semplicemente fare memoria del primo incontro con il Signore. Allora Francesco, nello spirito della riflessione ignaziana, propone tre verbi alla nostra riflessione: cercare, dimorare, annunciare Gesù.
Cercare. Giovanni Battista è colui che vede e capisce, è il vero testimone che, però, torna subito nel nascondimento e sapremo dai Vangeli la sua morte. Sulla riva del Giordano è con due persone, i primi due discepoli che si mettono a seguire Gesù: uno è Andrea – santo venerato anche dalla Chiesa ortodossa che lo chiama Protocleto, o il Primo chiamato – dell’altro non sappiamo nulla; ovvero, ognuno di noi può essere quel discepolo.
Ai due Gesù si rivolge con la domanda: “che cosa cercate?” Sono le prime parole che pronuncia nel quarto Vangelo, parole che interrogano e mettono a nudo motivazioni e desideri dei discepoli. Gesù, spiega Francesco, “anzitutto li invita a guardarsi dentro, a interrogarsi sui desideri che portano nel cuore”. E questo perché “il Signore non vuole fare proseliti, non vuole ‘followers’ superficiali, il Signore vuole persone che si interrogano e si lasciano interpellare dalla sua Parola”; bisogna avere “un cuore aperto, in ricerca, non un cuore sazio o appagato”.
Dimorare. Alla domanda “che cosa cercate” i due discepoli rispondono: “dove dimori?” Dice il vescovo di Roma: “essi non cercavano notizie o informazioni su Dio, oppure segni o miracoli, ma desideravano incontrare il Messia, parlare con Lui, stare con Lui, ascoltarlo”.
Nessun indirizzo o biglietto da visita con la via e il numero di telefono, come potrebbe accadere oggi incontrando una persona; Cristo invece li invita a venire e vedere. “Rimanere con lui – dice il papa – è la cosa più importante per il discepolo del Signore. La fede, insomma, non è una teoria, è un incontro, è andare a vedere dove abita il Signore e dimorare con lui. Incontrare il Signore e dimorare con lui”.
Infine, annunciare. Quell’incontro è stata una esperienza forte e i due discepoli “sentirono subito il bisogno di comunicare il dono ricevuto”.
Nel dopo angelus, papa Francesco torna a parlare di pace, di persone che “soffrono la crudeltà della guerra in tante parti del mondo, specialmente in Ucraina, in Palestina e in Israele”; e chiede, a chi ha potere su questi conflitti, di riflettere “sul fatto che la guerra non è la via per risolverli, perché semina morte tra i civili e distrugge città e infrastrutture”. La guerra dice ancora “è in se stessa un crimine contro l’umanità”. Il mondo, i popoli hanno bisogno di pace, per questo dobbiamo “educare alla pace” per “fermare ogni guerra”.