La domenica del Papa – Lasciare, seguire
In questa domenica dedicata alla Parola di Dio, il Vangelo di Marco ci porta all’inizio della vita pubblica di Gesù, e ci propone la sua prima predica, brevissima ma che ha un punto fermo: il tema della conversione. Giovanni Battista è stato arrestato e ucciso da Erode, e il Signore sa che è giunto il suo tempo, anzi “il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino”. Come dire, il tempo dell’attesa, preparato dai profeti, da Giovanni Battista, si è concluso. Non è a Gerusalemme che ha inizio la vita pubblica di Gesù, ma, per usare una espressione cara a papa Francesco, in una periferia dell’esistenza: la Galilea. Terra lontana, crocevia delle genti e luogo di incontro di culture e popoli diversi; è qui in questa terra marginale abitata da persone povere, da pagani e anche rivoluzionari, che il Signore va a cercare i primi quattro discepoli, come leggiamo in Marco: “seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini”, dice a Simone e Andrea. Un racconto che non può essere letto senza riflettere sulla prima lettura, ovvero la chiamata di Giona; o meglio, la seconda chiamata, perché prima non aveva voluto accogliere l’invito di Dio a recarsi a Ninive. Poi obbedisce e permette così a Dio di rivelarsi per quello che è: misericordioso, lento all’ira.
In Galilea, dunque, dove incontra samaritani giudicati eretici, scismatici e separati dai giudei, che ha inizio il cammino di Gesù. È non è un caso che papa Francesco abbia voluto, in questa domenica, dare inizio all’Anno della Preghiera in preparazione al Giubileo del 2025 e all’apertura, a Natale di quest’anno, della Porta Santa; mesi dedicati a riscoprire “il grande valore e l’assoluto bisogno” della preghiera. Da Francesco anche un invito a pregare per l’unità dei cristiani, una settimana che, come tradizione, il Papa concluderà il prossimo 25 gennaio nella basilica di San Paolo. Basilica che da sempre è luogo simbolo del dialogo ecumenico, anche perché proprio qui Giovanni XXIII ha voluto annunciare, nel gennaio del 1959, la sua intenzione di indire un Concilio ecumenico, con l’intento di soffiare via la cenere e rinvigorire la fiamma della fede; è qui che Giovanni Paolo II ha voluto aprire la Porta santa in occasione del Giubileo del duemila assieme al Patriarca ortodosso e al Primate della chiesa anglicana. E qui, ancora, che il pontefice, partendo dall’immagine della donna samaritana al pozzo, ha parlato il 25 gennaio 2015, di “sete d’incontro, desiderio di aprire un dialogo”. Preghiera anche, e soprattutto, per la pace in Ucraina, in Israele e in Palestina “e in tante altre parti del mondo: a soffrirne la mancanza sono sempre i più deboli. Penso ai piccoli, ai tantissimi bambini feriti e uccisi, a quelli privati di affetti, privati di sogni e di futuro. Sentiamo la responsabilità di pregare e di costruire la pace per loro”.
Domenica nella quale Francesco celebra in San Pietro e commentando la chiamata dei primi apostoli ha parla di dinamismo: la Parola “non ci lascia chiusi in noi stessi, ma dilata il cuore, fa invertire la rotta, ribalta le abitudini” e, ancora, “dischiude orizzonti impensati”.
Così sceglie due verbi: lasciare e seguire. Cosa hanno lasciato allora i primi quattro apostoli, si chiede Francesco. “La barca e le reti, cioè la vita che avevano fatto fino a quel momento. Tante volte fatichiamo a lasciare le nostre sicurezze, le nostre abitudini, perché rimaniamo impigliati in esse come i pesci nella rete. Ma chi sta a con la Parola guarisce dai lacci del passato, perché la Parola viva contatto reinterpreta la vita, risana anche la memoria ferita innestando il ricordo di Dio e delle sue opere per noi”.
Lasciarono le loro cose e lo seguirono perché la Parola “mentre libera dagli ingombri del passato e del presente fa maturare nella verità e nella carità: ravvia il cuore, lo scuote, lo purifica dalle ipocrisie e lo riempie di speranza”.
Quindi, all’angelus, ha spiegato che il Signore “ama coinvolgerci nella sua opera di salvezza, ci vuole attivi con lui, responsabili e protagonisti”. Annunciare il Vangelo “non è tempo perso” e un cristiano “che non è attivo, che non è responsabile nell’opera dell’annuncio del Signore e che non è protagonista della sua fede non è un cristiano o, come diceva mia nonna, è un cristiano ‘all’acqua di rose’”.