Le proteste degli agricoltori “arrabbiati” e le loro motivazioni, giuste ma non tutte
Le proteste di agricoltori e allevatori che in questi giorni tengono in scacco l’Europa pongono una serie di questioni in parte sacrosante, in parte no. È difficile, per i non addetti ai lavori, valutare quello che accade, ma quella che è evidente è la violenza inaccettabile espressa da questa protesta. Viene tollerata per coperture politiche e paure comprensibili ma resta inaccettabile. Per proteste molto più blande i giovani che si battono per l’ambiente, e cioè per problemi di interesse universale e non personale, rischiano condanne severissime. Forcaioli e trattoristi imbrattatori, distruttori che bloccano le strade, vengono invece tollerati e perdonati.
Detto questo, veniamo ai motivi della protesta che però, va precisato, non sono uguali per tutti gli stati e neppure per tutte le regioni, perché ogni territorio e ogni nazione avanza pretese diverse.
L’argomento che unisce tutti è la bocciatura delle politiche comunitarie, è proprio la “Pac”, ovvero la Politica agricola comune. Varata alcuni anni fa e valida fino al 2026, imposta le direttive generali di un settore che, lo ricordiamo, è quello che da oltre mezzo secolo spende la gran parte delle risorse europee, in sostegni, aiuti, integrazioni, detassazioni e così via. Non sempre in maniera trasparente. Ma al centro della contestazione degli agricoltori, che è sostenuta a livello europeo soprattutto dai partiti di estrema destra, vi sono anche le proprie organizzazioni sindacali. Ree di non aver sostenuto adeguatamente le ragioni della categoria.
Cerchiamo di capire meglio con l’aiuto di un autorevole addetto ai lavori, il presidente di Confagricoltura Puglia, Luca Lazzaro (nella foto).
Vi sentite coinvolti nelle accuse?
Assolutamente no. Confagricoltura Puglia è da sempre critica sulla Pac. Sono circa tre anni che contestiamo con i fatti, anche sollecitando i nostri rappresentanti istituzionali al Governo e in Europa, questa politica agricola comune incapace di fare gli interessi dei produttori, e dei consumatori. Per noi, dunque, non è un repentino cambio di pensiero utile solo a salire sul carro della protesta. Siamo stati i primi a contestare la Pac perché coerenti con la missione che abbiamo ricevuto dagli agricoltori pugliesi: rappresentare i loro interessi su tutti i tavoli”.
Insomma, è la risposta politica, a vostro parere, a essere inadeguata.
Certo. Già a dicembre del 2021 Confagricoltura Puglia, durante un incontro con i parlamentari del territorio, sosteneva che questa Pac distrugge l’olivicoltura della Puglia, e che in Puglia, la nuova Pac mette a rischio 90mila posti di lavoro nel settore olivicolo. Impostazione da rigettare in toto.
A poi l’accordo è stato raggiunto.
Ma quando l’accordo tra le istituzioni è stato raggiunto, solo la nostra organizzazione dichiarò che si trattava di una riforma inadeguata rispetto alle esigenze di tutela del reddito agricolo e troppo complessa sul piano amministrativo. I fatti ci hanno dato ragione. Allo stato degli atti, la PAC resterà in vigore fino alla fine del 2026. Mentre a Bruxelles già è partita la discussione sulla prossima riforma, siamo al lavoro per ottenere tutti gli adattamenti possibili nell’ambito dell’assetto normativo vigente. Il primo risultato è già stato ottenuto con le recenti indicazioni ministeriali in materia di rotazione annuale obbligatoria dei seminativi. Su richiesta di Confagricoltura, al ministero dell’Agricoltura sono stati istituiti due “tavoli” uno politico e l’altro tecnico) per esaminare i risultati del primo anno di applicazione della nuova PAC. E concordare le opportune modifiche del Piano strategico nazionale.
Le “altre” ragioni della protesta
Fin qui le risposte di Lazzaro sul Piano agricolo comune. Ma molte sono le contestazioni avanzate dagli agricoltori. Quelle “comuni” riguardano specificamente alcuni obblighi: primo di tutto l’obbligo di lasciare incolta una parte consistente dei terreni agricoli, poi la generale politica di accordi commerciali con i produttori extraeuropei. Gli agricoltori contestano lo spostamento della politica agricola su posizioni ambientaliste (il Green new deal) e a scapito della produzione e dei consumatori. Obblighi che, tra l’altro, porrebbero l’agricoltura europea su posizioni poco competitive rispetto al resto delle agricolture mondiali.
Si chiede, inoltre, di poter utilizzare fitofarmaci proibiti sostenendo che ciò è consentito alle multinazionali. Poi ancora: in Francia, nelle scorse settimane, una delle micce è stata la proposta di aumentare il prelievo fiscale sull’acquisto di fitofarmaci e sull’acqua. In Polonia, Ungheria e Romania le proteste sono state causate dall’arrivo di grano dall’Ucraina. In Olanda si manifesta contro misure del governo che vuole ridurre la dimensione degli allevamenti, allo scopo di tagliare le emissioni di azoto.
E poi ci sono gli effetti delle guerre, le conseguenze dell’inflazione, la politica dei prezzi che penalizza i produttori e avvantaggia i commercianti. Per non parlare delle importazioni da paesi che hanno prezzi bassissimi e metodi di produzione non certificati.
Assieme a questi altri problemi si abbattono su questo comparto ch cerca sempre sponde politiche per poter vedere accolte le proprie richieste, ma così facendo ingenera confusione e competizioni assurde.
L’agricoltura merita una gestione molto più saggia e oculata, che salvaguardi gli interessi dei produttori, ma anche quelli dei consumatori che, in questo bailamme, sono sicuramente coloro che ci rimettono di più.