“The Gray Man” (al cinema dal 13 luglio)
All’origine c’è un romanzo, anzi una serie letteraria, firmata dallo scrittore statunitense Mark Greaney, autore già cult perché accanto a Tom Clancy nel ciclo su Jack Ryan. Ora finalmente “The Gray Man” arriva sullo schermo grazie a Netflix e al coinvolgimento dei fratelli Anthony e Joe Russo, che curano oltre alla regia la produzione e la sceneggiatura (Joe insieme a Christopher Markus e Stephen McFeely).
I “Russo Brothers” sono reduci dal successo planetario dei capitoli finali degli “Avengers” (basta ricordare che “Endgame” ha incassato quasi 3miliari di dollari, fermandosi a un passo dal record di “Avatar”) ma anche dal ciclo dedicato a “Captain America” (“Winter Soldier” del 2014 e “Civil War” del 2016). Insomma un atteso ritorno e al contempo un banco di prova perché lontani dal Marvel Cinematic Universe. A ben vedere, però, in casa Netflix con “The Gray Man” non si sono discostati molto dal quel sentiero:è vero, siamo fuori dal fantastico, ma la carica di azione, combattimenti, adrenalina e scene spettacolari viaggia nella medesima direzione.
La storia. Sierra Six (Ryan Gosling) è un mercenario al servizio della Cia, recuperato da un penitenziario con un progetto di commutazione di pena e addestrato dall’agente Donald Fitzroy (Billy Bob Thornton). In una missione in Thailandia scopre dei segreti sui vertici della Cia, in particolare su Carmichael (Regé-Jean Page), il quale non perde tempo a metterlo nel mirino dello spietato e folle killer Lloyd Hansen (Chris Evans). Accanto a Sierra Six si schiera l’agente Dani Miranda (Ana de Armas).
Un set imponente che ha abbracciato ben 7 città e Paesi, da Los Angeles alla Thailandia, da Vienna a Praga, passando poi per Croazia e Azerbaijan, fino al cuore della Francia. Una caccia all’uomo spettacolare, adrenalinica, vigorosa e fracassona. I fratelli Russo incassano il via libera da Netflix per un progetto ad altissimo budget, non badando a spese a favore della spettacolarizzazione.Insomma gli ingredienti sembrano esserci tutti, dalla regia collaudata alla messa in scena mozzafiato, senza dimenticare il cast all star che riporta accanto ai Russo l’amico di vecchia data Chris Evans (Mr. Captain America), il consolidato divo Ryan Gosling e la star di “Bridgerton” in cerca di nuove sfide Regé-Jean Page.
Buone, dunque, anzi ottime le intenzioni, meno il risultato: il film è indubbiamente riuscito sotto il profilo del ritmo e dell’azione, che tengono agganciati lo spettatore per oltre 120’, ma il racconto appare forzato, confuso e soprattutto appesantito da un esibizionismo produttivo esasperante (si veda l’inutile e insistito combattimento a Praga!). “The Gray Man” sconta il peso dell’ambizione, e pertanto appare uno spettacolo fuori controllo, mettendosi al seguito del modello di James Bond di matrice Daniel Craig… Ma si sa, di Bond ne esiste solo uno. Il resto non tiene il passo.Peccato. Complesso, problematico e indicato per un pubblico adulto o adolescenti accompagnati
“Secret Team 355” (ancora al cinema)
Sempre nel segno del thriller-action troviamo ancora in classifica nel box office nazionale “Secret Team 355” di Simon Kinberg, che ne firma anche la sceneggiatura insieme a Theresa Rebeck. Il film mette a tema lo scenario investigativo alla James Bond ma virato totalmente al femminile. Il team di agenti segreti proviene dalle fila dei principali servizi internazionali, dalla Cia statunitense all’MIS britannica fino al servizio di sicurezza tedesco. Un’opera, come quella menzionata dei fratelli Russo, il cui punto forte sono inseguimenti, depistaggi e scontri a fuoco spettacolari. Punto di forza in una trama scontata e deboluccia è di certo il cast, composto da dive hollywoodiane ma non solo: Jessica Chastain, Penélope Cruz, Lupita Nyong’o, Diane Kruger e Fan Bingbing. Accanto a loro, ma sempre un passo indietro, Sebastian Stan e Édgar Ramírez.
La storia. America Latina, una pericolosa arma segreta finisce nei giri del narcotraffico. Sulle sue tracce si mette l’agente della Cia Mace (J. Chastain), insieme alla collega tedesca (D. Kruger) e alla britannica Khadijah (L. Nyong’o). Le spie sono chiamate a spostarsi in più continenti, dall’America all’Europa (Londra e Parigi), passando per l’Africa (Marocco) fino allo scontro finale in Asia (Shangai).
Il regista Simon Kinberg – sceneggiatore di successo, passato alla regia con “X-Men. Dark Phoenix” (2019) – rimane anche lui fedele al genere di riferimento, quello che coniuga azione, adrenalina e thriller. Dismessa la casacca del fantasy, l’orizzonte è lo spionaggio ad alto tasso di adrenalina. Quello che salva e dà dignità, o meglio originalità, a questo racconto rispetto alla proliferazione di contenuti simili è il fatto che qui capofila dell’operazione siano tutte donne, acute e addestrate al pari (o meglio) dei colleghi uomini. Spie che rubano la scena al classico modello dell’agente segreto maschile, sagomate da dive Premio Oscar che stanno di certo cambiando l’assetto narrativo di Hollywood. Segno dei tempi, ovviamente, come del resto ci ricorda anche l’ultimo “James Bond”, “No Time to Die”, dove il titolo di 007 passa per la prima volta a una donna.
Che dire nel complesso? Un racconto scorrevole, adrenalinico, ma senza troppe sorprese o sussulti. Come detto, se non fosse stato per il protagonismo femminile, forse non avrebbe lasciato traccia. La regia c’è, ma non sempre efficace e solida nel governare la caotica macchina. Complesso, problematico e indicato per un pubblico adulto o adolescenti accompagnati.