Fondazione con il Sud: il progetto di Casetta Lazzaro dove si coltivano ortaggi e… autonomia
A ‘Casetta Lazzaro’, nel leccese, gli ortaggi hanno un ‘sapore’ diverso: sanno di autonomia, autostima, inclusione e socialità. Sono coltivati da h.ortolani
C’è un posto nel leccese dove gli ortaggi sono micro ma hanno un sapore diverso. Quello di chi prima che a coltivare sta imparando a vivere in autonomia, a proiettarsi nel futuro, a credere in sé stesso. Far recuperare terreni incolti e abbandonati ad un gruppo di giovani con disabilità intellettiva, è l’idea della fondazione Div.Ergo- onlus di Lecce. Un’idea sposata da Fondazione con il Sud, che l’ha finanziata così come per altri 242 progetti in Puglia, terza regione dopo Sicilia (332) e Campania (341). Dal 2007 ad oggi, Fondazione ha speso 40 milioni di euro per dare sostegno a progetti coraggiosi. Alcuni non sono decollati altre invece, come questo, camminano ormai con le loro gambe e sono stati raccontati in un tour, tra Taranto e Lecce, pensato in occasione dei festeggiamenti per il sedicesimo anno di attività di Fondazione con il Sud. “Casetta Lazzaro” è la struttura immersa nella pineta, cuore del percorso di inserimento lavorativo e sociale svolto da questi agricoltori in erba. Qui c’è la miniserra, qui c’è la compostiera che trasforma il compost in humus di lombrico, utilizzato come fertilizzante naturale. Qui presto potrebbe esserci un essiccatore, per chiudere la filiera, vendendo snack salutari per assumere altri h.ortolani. Perché qui ci sono soprattutto loro.
“Spesso queste persone non sopportano di stare al chiuso – spiega la presidente, Maria Teresa Pati –. Così abbiamo pensato, per quelli che non sono portati per l’artigianato o per l’arte e la creatività, ad un progetto di agricoltura sociale,chiamato ‘Utilità marginale’, che ci è stato finanziato da Fondazione con il Sud qualche anno fa”. “Come Div.ergo – continua la presidente – abbiamo acquistato nel 2015 questa casa nella pineta, con l’orto invernale e quello estivo e una piccola serra per la coltivazione dei micro ortaggi, che oggi vendiamo ad una quindicina di attività di ristorazione del leccese ed anche ad un ristorante stellato. Nella casetta ci sono, e lo diciamo alla latina, otto h.ortolani, un gruppo di sei volontari fissi e tanti altri aiutanti sporadici. Dentro la casetta svolgiamo anche un laboratorio di carta pesta e uno di cucina, per favorire l’autonomia dei nostri amici. Ad oggi tutti hanno svolto tirocini pagati e due di loro, Davide e Gabriele, sono stati assunti dalla cooperativa agricola legata alla nostra fondazione”.
Vito Paradiso, coordinatore dell’equipe che si occupa della gestione della struttura, smessi i panni del docente di enologia all’Università del Salento, indossa quelli del volontario: “Le due cose si illuminano reciprocamente.Le competenze lavorative le applico alle necessità del progetto ma allo stesso tempo non nego, e penso che sia l’esperienza di tutti quelli che fanno volontariato, che quello che imparo qui, anche nella gestione dei rapporti umani, nel lavoro serve. Nella casetta sono dal 2015, quando è partito il progetto ma il volontariato lo faccio da una vita. Sono cresciuto in oratorio”.
Tante le storie e gli aneddoti che Vito racconta.Alcuni sono impressi nella mente più di altri: “Ricordo l’esperienza di Marco, che quando è arrivato non sapeva guidare la carriola, la orientava nella direzione opposta rispetto a dove voleva andare. C’è chi ad esempio aveva paura e oggi utilizza attrezzatura a motore. La grande gioia è vedere come queste persone si siano abilitate, restituire loro una percezione di sé come di adulti, giovani ma non più bambini, in grado di avere un dominio sul mondo.La meraviglia è osservarli quando se ne rendono conto”.
Qui la voce diventa sottile, gli occhi lucidi. “Nel massimo rispetto delle famiglie, che dedicano amore e tempo ogni giorno e tutto il giorno, non possiamo nascondere che nell’esperienza familiare è più facile che queste persone vengano infantilizzate. Così come avviene talvolta nei contesti sociali. Per esempio si continua a chiamarli ragazzi, quando hanno 40 o 50 anni. C’è questa tendenza, in genere. Quando invece loro scoprono di poter esercitare la vita di un adulto, sia in termini di responsabilità che di cura, per esempio per una pianta, o di poter acquisire competenze, man mano si vedono con occhi diversi. Così possono cominciare a pensare ad un futuro in cui non siano la replica di quello che sono sempre stati, come se il tempo non esistesse. D’altra parte stare in un ambiente come questo è un’educazione costante al tempo. I cicli della natura, i suoi tempi, la lentezza, hanno da insegnarci”.
“Dopo questi due anni e mezzo di stop forzato a casa della pandemia – commenta Marco Imperiale, direttore di Fondazione Con il Sud – era importante far respirare ai colleghi delle fondazioni e ai giornalisti l’ossigeno dei nostri progetti, che sono luci in mezzo ad un territorio in cui ci sono tante zone d’ombra. E bisogna accenderne di queste luci, tante e tante, per cambiare il destino e il volto della Puglia”.“Le esperienze toccate con mano nel tour – conclude Imperiale – purtroppo sono ancora troppo poco diffuse e poco conosciute anche alla gente del posto e stiamo lavorando anche per questo, per accrescerne la visibilità”.