Diocesi

Il pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo avvia il nuovo anno pastorale

foto G. Leva
10 Set 2022

“Mossi dallo Spirito costruiamo insieme la speranza che non delude”: 

questo il tema  del pellegrinaggio mariano a San Giovanni Rotondo voluto anche quest’anno dall’arcivescovo Filippo Santoro.

Organizzato dall’arcidiocesi di Taranto, sono circa 4000 i pellegrini che hanno raggiunto il santuario di Padre Pio,  3500 con gli autobus organizzati dall’arcidiocesi, gli altri con mezzi propri.

Riportiamo di seguito il testo dell’omelia che mons. Filippo Santoro ha pronunciato durante la santa messa che inaugura e sarà la guida del nuovo anno pastorale:

 

foto G. Leva

 

 

Cari amici,

finalmente siamo riusciti a compiere questo gesto comunitario del pellegrinaggio che è segno di una Chiesa che desidera prendere il largo. Vi sono particolarmente grato per la partecipazione.

Mi sono lasciato guidare dal brano biblico che ha ispirato la Conferenza Episcopale italiana quando ci ha consegnato le linee guida  per il secondo anno del cammino sinodale dal titolo “I cantieri di Betania”.  Così ho voluto che l’inizio del nostro anno pastorale fosse illuminato, in questa liturgia eucaristica, dal racconto della sosta ristoratrice del Signore e del suo gruppo di pellegrini verso Gerusalemme, nella casa degli amici Marta, Maria e Lazzaro. Ci intratteniamo anche noi a Betania, entriamo in quella casa per stupirci ancora una volta dell’amore di Dio per noi.

Vorrei che dilataste il pensiero per non isolare questo brano di San Luca dalla convinta salita di Gesù verso Gerusalemme. Tutto ciò che riguarda il Vangelo, i dettagli, non sono casuali, ma vanno a punteggiare di luci il cielo della Misericordia di Dio.

Quando penso a Betania affiora nella mia mente il dono prezioso dell’amicizia del Signore. Sulla strada che porterà al Calvario e alla tomba vuota, vi è uno spazio vitale nel quale il Maestro tesse legami di amicizia, un’amicizia non strumentale, né tantomeno fugace, ma profonda, direi sacramentale per il modo con la quale tocca l’esistenza delle persone con cui gode della mensa e delle conversazioni. Anche noi come Gesù siamo in cammino, alla sua scuola di vita e apprendiamo da lui l’arte di essere persone credenti e credibili, siamo compagni di viaggio del Signore in questa nostra storia.

Se Betania è stata per il Signore una fonte che lo ha dissetato, manifestazione della cura amorevole di Dio per lui, cosa può offrire anche a noi nel nostro cammino di discepoli missionari?

 

I – AMICIZIA

La prima parola che caratterizza il cammino di quest’anno ci è suggerito dalla casa di Betania: è l’amicizia, intesa come un dono, un luogo di affetti, di accoglienza e di rapporti.

Abbiamo come cristiani i problemi di tutti: l’aumento del gas, le bollette, la grande emergenza sociale di quanti non riescono ad arrivare a fine mese,, l’emergenza ambientale che mentre sembrava essersi avviata ad una svolta radicale ora segna il passo di fronte ad una economia di guerra che richiede acciaio bellico, incombe come dice il Papa una terza guerra mondiale; la pandemia non ci lascia e si avvicinano le elezioni in questo mese di settembre, oltre a tutti i nostri drammi famigliari. Abbiamo i problemi di tutti, ma in questa situazione non siamo soli e abbandonati: abbiamo l’amicizia dolce e forte del Signore che ci sostiene come ha fatto nel bel rapporto di reciprocità con Marta, Maria e Lazzaro.

Indico alcuni aspetti di questa esperienza che ci riempie di speranza.

1. Il primo elemento che affiora è lo stile di Marta, una donna sicuramente forte, laboriosa, che prende iniziativa, il cui nome indica proprio che è la padrona di casa, è lei che invita Gesù. Convince la carovana di Gesù a fermarsi a casa sua, dove ci sono i suoi fratelli Maria e Lazzaro. Ha l’ardire di interloquire con Gesù con fare confidenziale e anche bonariamente polemico. Ella esce, va incontro, prepara. Marta lo accolse. È lei che apre la porta a Gesù ed ingaggia evidentemente grandi preparativi perché gli ospiti siano trattati nel miglior modo possibile.

Marta ha una sorella, Maria che a differenza di lei preferisce rimanere rannicchiata ai piedi del Maestro. Maria ascolta. Spesso noi indichiamo queste due figure femminili come contrapposte, tanti si sono ispirati ad esse per parlare di vita attiva e contemplativa nella Chiesa. Ma esse in realtà rivelano due atteggiamenti fondamentali della fede di ciascuno: accoglienza operosa e concreta e conoscenza profonda del Signore. Entrambe sono necessarie e fanno parte della sinfonia amicale intorno al Signore, la generosità ridondante della prima e la finezza quasi claustrale della seconda sono fondamentali per trattenere il Signore sotto il nostro tetto.

Marta è presa dai tanti servizi. Ad un certo punto non si rivolge a sua sorella, ma direttamente all’Ospite: «Signore non ti importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire?». Cosa abita il suo cuore? Certamente sembra che incarni due grandi virtù: l’umiltà ed il servizio, pensa agli altri senza sosta, con generosità e sacrificio, si preoccupa che non manchi nulla a Gesù e agli altri ospiti, ma la sua lamentela è un sintomo di un malessere. Marta è abitata dallo stile del “fare per” più che dello “stare con”, ossia dal privilegiare la “prestazione” più che la “relazione”, come invece Maria aveva ben compreso.

In questa domanda è riassunta la dinamica delle nostre attività pastorali spesso portatrici di delusione.  Siamo presi dai tanti servizi anche noi. Penso a i parroci e ai loro più stretti collaboratori. Alle nostre parrocchie è richiesto molto, anche dall’opinione pubblica, facendone, di fatto delle aziende, centri di assistenza sociali, distributori di sacramenti e documenti, musei… caricandoci spesso di disincanto…

Tutti sperimentiamo queste pretese e le fronteggiamo con spirito di servizio, creatività, generosità. Poi patiamo la stanchezza, magari notiamo di essere mosche bianche in mezzo a tanti ozianti seriali. Rivolgiamo a colui che ci ha chiamato la nostra accusa: «Signore son qui per te, ma non ti importa nulla di quello che faccio per te». Ma la parola che più è bruciante nella frase di Marta è la parola “sola”. Siamo rimasti soli a servire, incapaci di rispondere a tutti le richieste. Sentirsi isolati in un mare di cose da fare è l’esperienza che tutti facciamo, sentendoci improvvisamente estranei da quelle attenzioni del Signore che sembrano rivolti ad altri ma non a noi. Papa Francesco, ispirandosi a questa donna generosa,  indica uno stato d’animo tipico della Chiesa: il martalismo. Nelle nostre comunità ecclesiali, parrocchiali possiamo essere impegnati nell’accoglienza del Signore, a servizio di quanti bussano alle nostre porte, ma ci sentiamo anche schiacciati dalle attività, profughi d’amore. Ci sentiamo soli, pur rimanendo dentro le mura della Chiesa, continuamente tentati e sedotti dall’individualismo dominante.

2. Un secondo elemento importante che possiamo notare a partire dalle parole di Gesù è l’affermazione di un bisogno forte della vita: la ricerca dell’essenziale. Gesù chiama Marta ripetendo il nome dell’amica ben due volte, quasi per destarla dal sonno del suo iperattivismo, e aiutarla a comprendere “cosa è essenziale” per la sua vita. Il Maestro sottolinea lo stato di preoccupazione e di agitazione che poco si confanno ad un discepolo di Cristo. Il cuore di Marta è generosissimo ma ingombrato dal fare.  “Ti preoccupi e ti agiti per troppe cose”.  Gesù ci chiede ancora una volta di consegnare a Lui le nostre agitazioni, le nostre preoccupazioni in cambio della sua amicizia.

Gesù le dice “Di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta” (Lc 10,41-42).  Maria si è scelta la parte migliore. Maria ha scelto, ha optato per starsene ai piedi di Gesù. Lei che sembra passiva e immobile, in realtà ha focalizzato il fulcro del suo amore, contrariamente allo stato apparentemente fattivo di Marta una donna determinata che ha saputo scegliere

Probabilmente all’inizio Marta si sarà soffermata sul rimprovero ed avrà borbottato tra sé: “non solo sono la sola a lavorare, ma devo avere anche il resto!”. Ma in quel momento Gesù, ferendo il suo amor proprio le ha aperto l’intelligenza al fatto che “di una cosa sola c’è bisogno”, di qualcosa che riempia totalmente il cuore mentre si affannava tra tante cose anche giuste. Gesù risponde al desiderio fondamentale della vita di Marta. L’unica cosa necessaria di cui Marta ha bisogno è Gesù stesso e Maria lo sta già accogliendo.

Le parole di Gesù rivelano Marta a se stessa, le svelano il suo cuore con i suoi desideri e bisogni profondi. Marta conosceva Gesù e lo serviva volentieri, ma quella sera l’ha veramente incontrato fino in fondo al  cuore: “sono io la pienezza di cui il tuo cuore ha bisogno”. L’essenziale nelle nostra vita cristiana non è dato né dalle nostre azioni né dai nostri affanni, ma dall’incontro con Gesù, dal dono della sua vita per noi.

Anche noi uomini e donne siamo affaccendati tra mille cose Gesù ci chiede non la separazione tra contemplazione e azione, ma di andare al fondo di quello che facciamo. Solo lui riempie il cuore perché lui è la risposta alla sete di felicità di ogni uomo e di ogni donna. Lo sguardo di amore di Gesù ci rigenera, ci fa nascere di nuovo, ci rende altri nelle cose che facciamo. Anche questo pellegrinaggio è una grande opportunità per andare al cuore della nostra vita ad accogliere lo sguardo pieno di amore del Signore.

Il fatto grandioso è che Gesù non chiama Marta dal cielo, ma stando nella sua cucina, nella sua casa di Betania, negli spazi della vita feriale. Oggi anche noi, in questo gesto comunitario del pellegrinaggio, potremmo essere ingombrati da tante preoccupazioni e agitazioni: in parrocchia o a casa c’è sempre qualcosa di più urgente da fare che andarsene in giro! Sentiamoci tutti chiamati per nome da Dio ad accoglierlo nel cuore, a rinnovare una relazione amicale con lui, questo è fondamentale per la nostra salvezza e per essere “artigiani di comunità”, costruttori di parrocchie che siano una “nuova Betania”.

Tutto quello che mettiamo in campo, che realizziamo, che progettiamo, che costruiamo, ci verrà tolto. È scritto nelle cose, è scritto nella vita. Ci possiamo aggrappare ai ruoli, ai titoli, alle strutture, ai progetti, agli incarichi, ma così come Marta ha lasciato i suoi fornelli, così ciascuno di noi presto o tardi lascerà ogni cosa. Non parlo solo del momento ultimo della morte, ma anche del divenire della storia delle nostre chiese: nulla ci appartiene. Quanta sofferenza viviamo e probabilmente facciamo vivere quando ci tocca lasciare qualcosa!

Di necessario per la nostra vita vi è solo Cristo! È lui e la sua amicizia la parte migliore di ciascuno di noi. Senza di Lui potremmo essere parrocchie e realtà ecclesiali efficienti, ma sperimenteremmo con nostra grande frustrazione che non è ciò che conta. Forse già lo viviamo in diverse forme. Siamo lucernari bellissimi e socialmente importanti, ma che non contengono la luce che cercano gli uomini. Quando il ministero di Marta non viene compiuto dallo spreco amante di Maria per il Maestro, ci ritroviamo ad essere sale che perde il suo sapore, abbiamo perso la ragione identitaria del nostro essere in quella parrocchia, in quel movimento, in quell’associazione.

3. Una terza considerazione è che lo stare con Gesù illumina e qualifica ogni momento e attività che compiamo. Nel Vangelo di Giovanni Marta raggiunge il Signore sulla strada, gli ricorda ”Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” e aggiunge “ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio tela concederà”.

In quel contesto, mentre è sulla via, in attesa della grande Ora, in un clima familiare Gesù aiuta questa sua amica e noi a fare un “trasloco” interpretativo: alla beatitudine, alla contemplazione del mistero della nostra vita, si giunge non per la via dei meriti ma attraverso la croce, che è amore passionale e prova che purifica e genera vita nuova.  Nulla è perso e sprecato di quello che si dona per amore, a noi è chiesto di fidarci della Sua Parola così già oggi possiamo sperimentare la vita eterna, (quella che viene chiamata la “escatologia presenziale”). È nelle nostre fragilità che sperimentiamo la forza della Croce di Cristo che ci dona sapienza e forza interiore, vita. Commentando queste parole padre Mauro Lepori, Superiore generale dei monaci cistercensi, rileva che il rimprovero di Marta svela che il vero bisogno di Lazzaro è Gesù, lui solo può risuscitarlo. Marta da essere solo superattiva adesso segue Gesù dopo averlo incontrato. Marta si affida totalmente al Padre e a Gesù sino ad affermare “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene al mondo” (Gv 11, 23-27). Marta accoglie Cristo come risurrezione e vita che non muore in eterno. Marta diventa con la sua fede testimone della resurrezione. Lei si affida totalmente a Cristo e lo annuncia come autore di una vita che vince la morte, di una vita totale.

Ai piedi dell’ospite di Betania, vogliamo ritrovarci a compiere quel gesto di Maria, così supremo e definitivo. Siamo venuti a rompere, come ci ricorda il vangelo di Giovanni, un vaso di nardo purissimo, per ristabilire un amore oblativo, profondo, adorante, fatto dello spreco delle nostre vite, senza pretendere nulla in cambio consegnando il nostro amore a colui che è la fonte dell’amore.  Cari fratelli e sorelle nella fede, la nostra parte migliore è appartenere a Cristo così da appartenerci gli uni gli altri. Tutto ci verrà tolto, ma questo no. Però dobbiamo scegliere la parte migliore. Gesù continua a scegliere ciascuno, a chiamarlo. Ognuno oggi è qui per dirgli di sì.

 

 

II – SINODALITÀ

È la seconda parola del cammino di quest’anno pastorale 2022 – 2023. Ma per capire la sinodalità dobbiamo ripartire dal tocco dello Spirito

 

1) Chiesa sospinta dallo Spirito.

Vorrei che ci soffermassimo sull’azione dello Spirito che soffia sulle vele della Chiesa. Lo Spirito sorprende, lo Spirito ha sempre qualcosa di nuovo da dire alla Chiesa. Riscoprire la dimensione pneumatologia, dello Spirito Santo, nella nostra comunità ecclesiale sarà una sottolineatura importante dei nostri itinerari di fede. Solo l’azione dello Spirito Consolatore, farà di noi una comunità segnata dal linguaggio comune dell’amore, ci ricondurrà quotidianamente all’unità. Ci basterebbe riscoprire due effetti dello Spirito: il coraggio e la profezia.

Il mondo sembra drogarci con la paura. Cosa dobbiamo aspettarci di più? La pandemia, la guerra, i cambiamenti climatici, la crisi energetica. Il cristiano non può essere dominato dalla paura ed è capace, per vocazione, di aprire strade nuove, inesplorate verso la speranza. Ne siamo capaci? Siamo capaci di illuminare la via degli uomini? Essere profeti animati dallo Spirito di Dio vuol dire proprio questo. L’esperienza della pandemia è molto di insegnamento. Abbiamo cercato di conservare strade vecchie e ne abbiamo così sbarrate di nuove.

Pensate all’opportunità persa di ripensare veramente la catechesi. Abbiamo fatto i conti con le chiese svuotate dai corpi, ma ci siamo resi conto che tante anime erano assenti da ben prima della pandemia. Come al solito siamo rimasti a gestire l’emergenza con metodi talvolta discutibili e ridicoli, ma abbiamo rinunciato ad illuminare l’oltre. Speravamo di cambiare e qualificare il nostro modo di vivere, ma possiamo constatare che solo l’ascolto intimo dello Spirito ci può abilitare ad una novità autentica e radicale.

Nella logica sinodale che stiamo vivendo domandiamoci in che modo lo “stile di Gesù” sta plasmando il nostro modo di essere Chiesa, di essere discepoli missionari? Sappiamo che la parola “stilus” richiama il pennino con cui si incideva per scrivere sulle tavolette di cera.

Il cammino sinodale chiede di confrontarci con lo stile evangelico di Gesù, il nuovo umanesimo inaugurato da lui, e di verificarci sull’assonanza o meno che ha il nostro stile credente personale e comunitario con il suo.  Lo stile di Gesù è caratterizzato dall’autenticità; dalla sua ospitalità o empatia con l’altro; dalla libertà rispetto al dono di sé per il bene altrui, fino al martirio, ovvero la sua “santità” che non crea distanza ma partecipazione.

Quanto Gesù con il suo Spirito sta incidendo sulla nostra vita e appare “scritto” nei nostri cuori e nel nostro agire pastorale?

Siamo alla vigilia del 60mo anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, esperienza profetica domandiamoci: quello spirito profetico che ha animato la Chiesa, quello stile di Chiesa in dialogo e in cammino con gli uomini di oggi come lo stiamo incarnando nella nostra Chiesa diocesana e nelle nostre comunità?

Sarebbe opportuno compiere un passaggio da una “ordinaria” attenzione primaria, forsanche unica, alla “cura dei “fedeli/praticanti” che incontriamo nella celebrazione domenicale verso i “fedeli” che conservano la fede e la esprimono in maniera differente, meno istituzionalizzata (o “canonica”) e non legata all’assidua frequentazione. Questi credenti sono, dice papa Francesco in EG 14, «persone battezzate che però non vivono l’esigenza del battesimo, non hanno un’appartenenza cordiale alla chiesa e non sperimentano più la consolazione della fede. La chiesa, come madre sempre attenta, si impegna perché esse vivano una conversione che restituisca loro la gioia della fede e il desiderio di impegnarsi con il vangelo».

Gesù a Betania ci insegna primariamente a lasciarci noi ospitare dai vissuti delle persone che incontriamo, a bussare al loro cuore con delicatezza e affabilità, sentendoci non padroni della verità, ma servitori del vangelo della gioia.   L’incontro evangelico, nel deserto umano che cresce, diviene il modo mediante cui la domanda sul proprio destino può accendersi di nuovo.

C’è una mirabile frase di Papa  Giovanni Paolo I recentemente proclamato Beato: “Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna [ il vero dramma dei cristiani che vogliono essere moderni ] è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole”. Pertanto lascio alla creatività dei parroci, dei vicari episcopali e zonali, dei direttori degli uffici dell’arcidiocesi, dei responsabili di ogni tipo di aggregazione, iniziative che possano rimettere nelle nostre mani i Documenti del Concilio quale bussola per orientarsi nel flusso dello Spirito di Dio nella nostra Chiesa di Taranto per tornare ad essere profetici. Riconoscere i doni e i carismi di Dio è fonte di gratitudine e di salvezza. Non ce ne rendiamo conto ma l’azione vivificante del Signore è perenne. Chiedo esplicitamente che in ogni parrocchia i consigli pastorali diventino palestre di creatività, case e scuole di fraternità, fontane da cui attingere l’effervescente acqua dell’amore di Dio che ha riversato nei nostri cuori.

2) Chiesa cantiere di sinodalità

Su questo punto faccio riferimento al già citato sussidio della Conferenza Episcopale Italiana, i cui punti tracce e domande faranno da guida per il nostro cammino.

L’anno pastorale 2021-2022 ha visto l’apertura del Cammino sinodale in tutte le diocesi italiane (17 ottobre 2021). Non sono mancate incertezze e perplessità a rallentare il percorso;

Il discernimento sulle sintesi del primo anno di Cammino ha permesso di focalizzare l’ascolto del secondo anno lungo alcuni assi o cantieri sinodali, da adattare liberamente a ciascuna realtà, scegliendo quanti e quali proporre nel proprio territorio. Il carattere laboratoriale ed esperienziale dei cantieri potrà integrare il metodo della “conversazione spirituale” e aprire il Cammino sinodale anche a coloro che non sono stati coinvolti nel primo anno.

Quella del cantiere è un’immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo, che non si limiti all’organizzazione di eventi, ma punti alla realizzazione di percorsi di ascolto ed esperienze di sinodalità vissuta, la cui rilettura sia punto di partenza per la successiva fase sapienziale.

Sempre facendo riferimento all’icona di Betania ci viene chiesto di attivare tre cantieri. Qui li cito brevemente.

 

Il cantiere della strada e del villaggio

Sulle strade e nei villaggi il Signore ha predicato, guarito, consolato; ha incontrato gente di tutti i tipi – come se tutto il “mondo” fosse lì presente – e non si è mai sottratto all’ascolto, al dialogo e alla prossimità. Si apre per noi il cantiere della strada e del villaggio, dove presteremo ascolto ai diversi “mondi” in cui i cristiani vivono e lavorano, cioè “camminano insieme” a tutti coloro che formano la società; in particolare occorrerà curare l’ascolto di quegli ambiti che spesso restano in silenzio o inascoltati: innanzitutto il vasto mondo delle povertà: indigenza, disagio, abbandono, fragilità, disabilità, forme di emarginazione, sfruttamento, esclusione o discriminazione (nella società come nella comunità cristiana), e poi gli ambienti della cultura (scuola, università e ricerca), delle religioni e delle fedi, delle arti e dello sport, dell’economia e finanza, del lavoro, dell’imprenditoria e delle professioni, dell’impegno politico e sociale, delle istituzioni civili e militari, del volontariato e del Terzo settore.

 

Il cantiere dell’ospitalità e della casa

Anche Gesù aveva bisogno di una famiglia per sentirsi amato. Le comunità cristiane attraggono quando sono ospitali, quando si configurano come “case di Betania”: nei primi secoli, e ancora oggi in tante parti del mondo dove i battezzati sono un “piccolo gregge”, l’esperienza cristiana ha una forma domestica e la comunità vive una fraternità stretta, una maternità accogliente e una paternità che orienta. Il cantiere dell’ospitalità e della casa dovrà approfondire l’effettiva qualità delle relazioni comunitarie e la tensione dinamica tra una ricca esperienza di fraternità e una spinta alla missione che la conduce fuori.

 

Il cantiere dei servizi (diaconie) e della formazione spirituale

Il servizio necessita, dunque, di radicarsi nell’ascolto della parola del Maestro (“la parte migliore”, Lc 10,42): solo così si potranno intuire le vere attese, le speranze, i bisogni. Imparare dall’ascolto degli altri è ciò che una Chiesa sinodale e discepolare è disposta a fare.

Si apre il cantiere delle diaconie e della formazione spirituale, che focalizza l’ambito dei servizi e ministeri ecclesiali, per vincere l’affanno e radicare meglio l’azione nell’ascolto della Parola di Dio e dei fratelli: è questo che può distinguere la diaconia cristiana dall’impegno professionale e umanitario.

 

 

 

III  – CHIESA SACRAMENTO PER IL MONDO

La terza parola del cammino pastorale di quest’anno  è la parola Sacramento per il mondo.

Come avrete notato il secondo punto ha in sé un’articolazione corposa per il nostro lavoro comunitario. Per questo mi permetto di offrire un terzo punto che non sia accolto come traccia di lavoro ma come dimensione di fondo, come atteggiamento del cuore di ognuno.

Lo scorso 29 giugno il Santo Padre Francesco, ci ha consegnato una lettera apostolica sulla formazione liturgica del Popolo di Dio, il cui incipit – titolo è Desiderio desideravi, Ho desiderato ardentemente. Non è un testo per gli addetti ai lavori ma una vibrante meditazione sul valore del mistero pasquale celebrato e vissuto. Come nello stile del nostro amato Papa, si tratta di un testo semplice e al contempo ricchissimo.

«Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione” (Lc 22,15). Le parole di Gesù con le quali si apre il racconto dell’ultima Cena sono lo spiraglio attraverso il quale ci viene data la sorprendente possibilità di intuire la profondità dell’amore delle Persone della Santissima Trinità verso di noi. A quella Cena nessuno si è guadagnato un posto, tutti sono stati invitati, o, meglio, attratti dal desiderio ardente che Gesù ha di mangiare quella Pasqua con loro: Lui sa di essere l’Agnello di quella Pasqua, sa di essere la Pasqua. Questa è l’assoluta novità di quella Cena, la sola vera novità della storia, che rende quella Cena unica e per questo “ultima”, irripetibile. Tuttavia, il suo infinito desiderio di ristabilire quella comunione con noi, che era e che rimane il progetto originario, non si potrà saziare finché ogni uomo, di ogni tribù, lingua, popolo e nazione (Ap 5,9) non avrà mangiato il suo Corpo e bevuto il suo Sangue: per questo quella stessa Cena sarà resa presente, fino al suo ritorno, nella celebrazione dell’Eucaristia».

Siamo nel santuario di un grande santo, San Pio. Fiumane di pellegrini accorrevano per partecipare alla santa Messa presieduta da lui. Una celebrazione in cui si poteva percepire e gustare la presenza di Dio in mezzo a noi. Questo santo prete ha vissuto nella sua carne la celebrazione del mistero di Dio che si dona e che trasfigura il mondo. Dio desidera ardentemente fare comunione con noi, siamo chiamati ad essere sacramento della sua presenza. Lasciandoci toccare dalla Santissima Trinità nei sacramenti, lasciamo che Dio tocchi il mondo attraverso di noi. Vi chiedo di promuovere con entusiasmo la pastorale liturgica per una sana educazione all’arte del celebrare, ad un amore per la vita sacramentale non caratterizzata da formalismo talvolta anacronistico e tatrale, ma da quello stile solenne e sobrio proprio della liturgia romana.

 

Continuiamo ad essere sacramento profetico fra gli uomini in tutte quelle che sono le istanze della nostra terra. Annunciare il vangelo con la vita, con lo stile ospitale e con la capacità di accostarci con delicatezza alla vita delle persone è la forma storica con cui si incarna la sacramentalità della Chiesa oggi. Non smettiamo di essere portatori di vita in mezzo alle tante sfide della salvaguardia dell’ambiente, della salute e del lavoro, nell’accompagnare tutti al rispetto della vita e del bene comune in un sano e responsabile spirito civico. Dobbiamo avere fiducia che Dio attraverso le nostre povere vite avvera cose grandiose. In dieci anni di ministero in mezzo a voi ho visto fiorire tanto bene, tanto deserto rinverdirsi per opera della Divina Misericordia. Immersi nel mistero eucaristico dobbiamo tenacemente (ce lo diciamo tutti gli anni) ancorarci alla speranza che non delude, aggrappati alla croce, così come è figurato nel logo del Giubileo del 2025 che ci attende.

Ho notato con soddisfazione che nel documento della CEI qui abbondantemente citato, che vengono indicate le buone pratiche delle Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, come criterio di verifica del nostro modo di testimoniare nel mondo. Noi siamo sacramento di Cristo, luce delle genti!

 

È così che ci auguriamo di vivere il nuovo anno pastorale, con le parole di papa Francesco: “Abbandoniamo le polemiche per ascoltare insieme che cosa lo Spirito dice alla Chiesa, custodiamo la comunione, continuiamo a stupirci per la bellezza della Liturgia. Ci è stata donata la Pasqua, lasciamoci custodire dal desiderio che il Signore continua ad avere di poterla mangiare con noi”. Sotto lo sguardo di Maria, Madre della Chiesa, Madonna della Salute, con San Cataldo, San Francesco de Geronimo, San Egidio e san Pio da Pietrelcina!

 

Avanti con fiducia pellegrini della speranza

Vi abbraccio e vi benedico tutti.

Filippo Santoro

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