“Storie di mezza giornata” una straordinaria prova narrativa, postuma, di Tommaso Anzoino
Sarà presentato lunedì sera 12 settembre alle 19,30, nella Parrocchia Regina Pacis di Lama, il libro postumo di Tommaso Anzoino “Storie di mezza giornata”, edito da Antonio Mandese. Introduce l’incontro don Luigi Pellegrino, porta i suoi saluti don Paolo Oliva, intervengono don Mimino Damasi e Francesca Poretti.
Di Tommaso Anzoino ho sostenuto che il più bel libro da lui scritto sia “Esame d’incoscienza”, l’unico libro di poesia che pubblicò nel 1983 con Lacaita e la prefazione di Mario Lunetta. L’ho ribadito nella recente antologia “Taranto città della poesia” perché se un intellettuale che scrive eccelle nella poesia tutto il resto ne consegue. E perché tutta la scrittura di Tommaso è una poesia in prosa. È poetica la sua scelta dei pensieri, la selezione e la catalogazione delle considerazioni (cioè stando a lui del suo appartarsi tra le stelle), il contenuto della sua scrittura che, anche quando vuole essere provocatoria e sovversiva, giusti i modelli letterari a lui più cari, è ammantata di poesia.
Tra i suoi punti di riferimento, il Marquez di “Cent’anni di solitudine”, lui lo sapeva, perché ne parlammo tante volte e poi presentai all’Archita il suo “Gabriel a cena con Clinton”, non mi è mai stato particolarmente caro, come invece Berto, gli autori della beat generation o soprattutto Bukowsky, che resta per me il suo modello perfetto. È dello scrittore americano che Tommaso rivitalizza l’ironia pungente e diretta che diventa a volte patetica a volte straziante, di Bukowski ritrova la poesia sovversiva e coscienziale che si trasforma in progetto di destrutturazione della logica narrativa e di riordino valoriale dei contenuti.
Ebbene, in queste “Storie di mezza giornata”, edite da Antonio Mandese, il repertorio immaginario, filosofico e letterario di Anzoino trova la sua apoteosi. Bellissima la trovata delle prefazioni e della querelle sulla tempistica della loro scrittura. Io sono convinto che le abbia scritto tutte prima del resto del libro, anche la prima nella quale, dopo aver spiegato la necessità che le prefazioni si scrivano alla fine, dichiara di aver fatto così. Ma io resto convinto del contrario, perché conoscendo Tommaso immagino che egli abbia cominciato a lavorare al progetto dandosi un tema libro, proprio come quelli che la maestra dava alla piccola Giovanna, uno dei raccontatori delle quindici storie congruenti. Un po’ com’è proprio nella strategia narrativa di Tommaso: totale libertà, ovvero: coerenza assoluta a un criterio di libertà che è paratattica, anacolitica, asintattica, ma strettamente logica. Un flusso di coscienza che assomiglia molto più alla parolibera, ma sempre ammantata di senso, in cui la parola non è solo libera nella sua strategia sintattica, ma è anche emanazione anarchica del perché primigenio che genera il racconto e che è il motivo primo prefativo del libro.
Poi la narrazione prosegue, affidata a tre voci diverse, una tecnica straordinaria che ricorda un po’ un libro bellissimo e non abbastanza valutato di Maria Rosaria Petti, “Luci del Nord” la cui narrazione cambiava sempre prospettiva e logica seguendo il punto di vista diverso spesso opposto dei protagonisti, o il film “La contessa scalza” di Joseph Mankiewicz, con Ava Gardner, in cui il racconto cambia, appunto, secondo il punto di vista del narratore ma non può evitare di giungere a una conclusione univoca. E qui la conclusione è inevitabile e tragica: la morte del padre di Giovanna. Straordinario il discorso sulla “fine della sofferenza”, che con grande rigore logico e, al contempo, spontaneità, viene smontato dalla consuetudine dei luoghi comuni. Nell’apparente leggerezza e svagatezza narrativa prendono corpo invece dubbi esistenziali profondi, appuntanti con slancio a volte poetico, a tratti commovente. Un libro che si legge con piacere e passione e che può dare stimoli e avvertimenti molto interessanti.