Sanità: presìdi davanti ai cup della Puglia per le liste d’attesa che colpiscono i malati
Sono passati solo pochi mesi da quando lo scoppio dell’epidemia di covid aveva trasformato la sanità pubblica nel cuore solidale del Paese, pur facendo intravvedere, però che, al di là della grande disponibilità di medici e paramedici a farsi carico dell’emergenza specifica, per gli “altri” cioè per gli ammalati affetti da altre patologie, i tempi sarebbero stati più duri. E da allora le cose non hanno fatto che peggiorare.
Oggi, quando ormai all’emergenza è stata scritta istituzionalmente la parola fine, la sanità pubblica sembra essere tornata nella sua dimensione di “lontananza” dalla gente, soprattutto delle persone più povere e bisognose. La cartina tornasole è data dalle liste d’attesa che, quando ci sono, impongono tempi a volte assurdi, cui si può ovviare solo pagando di tasca propria.
Così lo Spi, l’organizzazione sindacale dei pensionati Cgil, ha deciso un’iniziativa forte, con un chiaro slogan: “Liste d’attesa: non se ne può più”, realizzando presìdi davanti ai cup per dare assistenza agli anziani che si sentono respingere dal sistema sanitario. Fino al 14 l’organizzazione terrà 50 presidi in tutta la Puglia. Ha anche predisposto uno stampato perché ogni cittadino possa contestare in forma scritta la violazione della normativa che in maniera chiara stabilisce i tempi entro cui devono essere fornite le prestazione. La chiusura della lista e la mancanza di una data è vietata dalla legge. Ci troviamo difronte ad una palese violazione di un diritto.
Mesi di proteste, di disagio, di sofferenza, ci dicono che bisogna portare il contenzioso nelle sedi deputate – sostiene Gianni Forte, segretario regionale dello Spi-Cgil, che abbiamo intervistato.
State avendo riscontri alla vostra iniziativa?
Abbiamo cominciato da ieri e abbiamo programmato 50 presidi per tutta la Puglia, ma i primi riscontri li abbiamo avuti: da persone che si sentono confortate dall’iniziativa, perché in questa fase è importante già trovare qualcuno che ti ascolta e che ti offre un minimo di sostegno. È questa la cosa più deprimente: è come se tutto ciò che accade non riguardasse chi ne ha responsabilità.
Fino a pochi mesi fa avevamo ancora l’idea della sanità come di un mondo solidale, per quanto i sofferenti si fossero sentiti, già col covid, maggiormente penalizzati.
E poi abbiamo fatto una campagna elettorale che ha fatto registrare l’assenza totale di questi temi. La storia delle liste d’attesa sta ormai diventando un problema in tutta l’Italia, ma di certo in Puglia, come in tutto il Mezzogiorno, c’è una situazione più pesante. Un po’ la carenza di personale, un po’ l’effetto della pandemia che, tutto sommato, ha avuto riflessi di non poco conto sulla sanità, sta di fatto che le cose così non vanno. E che dire del cup che non funziona? Stamattina siamo stati al Policlinico e il cup non funziona, perché le prenotazioni si fanno solo online con grave danno per gli anziani che non sono in grado di farle. E poi addirittura le “liste chiuse”, una cosa che è proprio vietata per legge, perché a chi si rivolge alla sportello una data bisogna darla. Anche se poi la data la si dà indica distanze anche di anni. Vi è anche un problema che riguarda il comportamento dei medici di famiglia, che devono apporre una sigla per indicare il livello di urgenza e di priorità, che è importante e che se non indicato rende tutto più difficile.
Quindi è un sistema che va completamente riordinato?
Proprio così, anche perché c’è la cosa obbrobriosa che se paghi la prestazione la ricevi il giorno dopo, e questa è la cosa che colpisce di più. Con l’intramoenia i medici hanno diritto di svolgere la prestazione professionale all’interno della struttura, però fino a quando c’è equilibrio tra esterna e interna va bene, ma quando l’attività di intramoenia diventa predominante rispetto a quella interna diventa tutto più difficile. Comunque i medici qualche responsabilità ce l’hanno perché preferiscono certo l’attività privata rispetto a quella istituzionale… pur con le loro buone ragioni. Tutto questo crea una situazione molto complicata.
E come se ne esce? Si può trovare una soluzione?
Con gli strumenti che anche le norme offrono. La norma dice che se la struttura sanitaria non riesce a erogare la prestazione, può anche offrirla in intramoenia ma facendosi carico delle spese, tranne il ticket, se dovuto. Oppure: vieni mandato a una struttura sanitaria privata con le spese a carico dell’ente. Oppure devi allunare gli orari e come è stato fatto in alcuni casi, lavorare anche la notte, insomma… cambiare il modello organizzativo. Il punto è che bisogna sforzarsi per trovare una soluzione. Abbiamo fatto incontri, intese, accordi ma la situazione non cambia. Evidentemente c’è qualche ganglio che ostacola la soluzione dei problemi. Tutto questo si riflette negativamente sulle persone, specialmente sui più deboli. Vi sono pazienti con il codice 48 (patologie oncologiche) cui viene programmata la prestazione dopo tre mesi.
Voi state offrendo alle persone anche la possibilità di contestare per iscritto il disservizio.
Certo, ci facciamo interpreti del disagio e diffidiamo la Regione a risolvere i problema.