Mons. Lorefice (Palermo): “Vincenzo Agostino è stata una sentinella nella resistenza attiva e proficua alla mafia”
L’arcivescovo di Palermo ha ricordato, nell’omelia funebre, Vincenzo Agostino, papà dell’agente Nino, ucciso da Cosa Nostra
“Una vedetta, una sentinella, un vegliardo”. Così l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, ha ricordato nell’omelia del funerale Vincenzo Agostino, papà dell’agente Nino, ucciso da Cosa Nostra assieme alla moglie Ida.
Lorefice ha continuato ricordandolo come “fonte di incrollabile speranza per noi tutti, per questa nostra terra martoriata e per l’intero Paese”. “La lunga barba bianca di Vincenzo Agostino ha rappresentato per noi il segno della resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del ‘male strutturato’ che ardiscono eliminare finanche – come lui stesso ebbe a dire – il ‘bene di un figlio, di una nuora, di un bambino […] mai conosciuto’; che sterminano Nino, un onesto e accorto servitore dello Stato, la sua giovane moglie Ida e il bambino che avevano concepito da pochi mesi; insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato. Questa è la notte!”, ha tuonato Lorefice.
L’arcivescovo ha quindi indicato in questi atteggiamenti: “La notte delle persone, la notte delle comunità, del raffreddamento dei cuori, dell’idolatria del potere e delle cose materiali. L’eclissi del patto di fedeltà. Degli alti valori umani. Del rigore etico privato e pubblico. Della formazione delle coscienze”.
Ricordando ancora la barba che Agostino non ha più tagliato dalla morte del figlio e della nuora come segno di denuncia e di richiesta di verità, l’arcivescovo ha ribadito che “quella barba è stata anche narrazione del suo vegliare nella notte, dell’uomo che con gli occhi penetra l’oscurità e attende con certezza l’irrompere della luce della verità che l’orgoglio e la tracotanza di uomini corrotti e alla ricerca di potere credono di sopraffare”. “Ha infuso speranza. Ha chiesto di non assopirci. Ci ha provocati a non cadere nell’indifferenza deresponsabilizzante e a non abituarci al male. Quella barba è quei capelli bianchi che esaltavano i suoi occhi pieni di luce nonostante le tenebre, sono stati per noi monito a rinnovarci, a rimanere desti, a porre domande”.