Il discorso dell’arcivescovo Ciro Miniero per ‘u’ pregge’
Ossia per la tradizionale consegna della statua del patrono
alle autorità cittadine
Stimate Autorità, Reverendi Canonici del Capitolo Metropolitano,
sono felice di perpetuare e presiedere per la prima volta l’antico rito, tutto tarantino, de “u’ pregge”.
Trovo questo rito carico di molte connotazioni e sollecitazioni. Oggi la comunità ecclesiale da me guidata e la comunità civile guidata da Lei Sig. Sindaco Rinaldo Melucci, si ritrovano nella Casa del Signore a suggellare un patto di custodia ma soprattutto di amicizia, di collaborazione, di cooperazione, di mutuo incoraggiamento per vivere e affrontare nel segno del patrono Cataldo l’avvenire di un popolo, l’avvenire di questa città. Vorrei che per un attimo ci lasciassimo illuminare dalla Parola di Dio. Ho voluto far proclamare i testi che appartenevano al proprio della Liturgia di San Cataldo in uso con l’arcivescovo Caracciolo nel 1600. Il Vangelo di Matteo esorta i discepoli a vegliare perché la venuta del Signore è misteriosa, imprevedibile e potrebbe coglierci di sorpresa. È singolare che l’avvento di Dio si manifesti a noi come quello di un ladro. Vorremmo essere rassicurati e non spaventati. Se è vero come vero, però, che il Vangelo è sempre buona notizia, vogliamo cercare in questa parola il seme, la perla utile per il nostro progresso spirituale. Gesù infatti ci invita ad avere un cuore desto in mezzo a qualsiasi tipo di difficoltà. Perché, un cuore che veglia nella fede non ha paura di nulla, non teme ma riposa nel cuore stesso di Dio. Qualunque siano le emergenze che siamo chiamati ad affrontare, il cuore desto è sempre pronto ad accogliere Dio e il prossimo e a fugare qualsiasi incertezza. Oggi ci impegnamo reciprocamente di custodirci vegliando gli uni sugli altri con la consapevolezza che quello che è posto nelle nostre mani non è nostro ma di Dio. Di Dio è il nostro mare, di Dio è la nostra città, di Dio è la nostra vita e noi abbiamo il privilegio di esserne custodi e non padroni.
Nel Vangelo risuona questa domanda: «Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito?».
Con semplicità di cuore, innanzi all’effige di san Cataldo, ognuno, secondo il proprio ruolo e le proprie responsabilità verso Taranto oggi deve chiedersi: «che tipo di servo sono?», «che servizio offro a questa comunità?». L’esempio del Patrono è quello di un uomo che ha donato la sua vita, che non ha lasciato sfuggire nulla dell’umano intorno a sé. In nome di Cristo egli si è preso cura dei deboli, dei malati, dei giovani. Si è speso per riportare questa diocesi nel solco della più autentica cristianità. Signor Sindaco, ciascuno nel suo compito, nella sua specifica missione a cominciare da me e da Lei, dalle autorità civili e militari qui presenti, fino a tutti i facenti parte di questo grande popolo, è chiamato a servire questa comunità, non a servirsene. L’insegnamento di Cataldo, da cristiano, è quello che amare significa servire. Oggi, ancora una volta, ci ritroviamo nel segno del grande evangelizzatore che naufrago sul Mar Ionio volle riportare in questa terra la bellezza della redenzione di Cristo. Si redime ciò che si riconosce buono, salvabile, gravido di futuro, e noi siamo chiamati a far questo. Evangelizzare vuol dire dare speranza, riaffermare che il Signore è con noi. Evangelizzare vuol dire Dio, come anche raccontare gli uomini e la nostra terra attraverso le parole stesse di Dio. Dio sa ascoltare i germi di bene, i semi di speranza, i moti di coraggio del cuore di ognuno. Mettiamoci fianco a fianco e sforziamoci come ha fatto il Patrono di annunciare un racconto diverso di questa città, perché una narrazione diversa è sempre possibile.
Non ci sono ignote tutte le nostre sfide. Sfide complicate della salute e del lavoro, in un panorama di un mondo sempre più piccolo lacerato dalla guerra. Sappiamo bene quali sono i bisogni e le emergenze di Taranto, però oggi che Le consegniamo l’immagine del Santo per la festa, il mio augurio così come la mia preghiera è quella che san Cataldo rimargini una sola ferita, quella più profonda, dalla cui cura e guarigione dipende molto dei nostri passi avanti. Per l’intercessione di Cataldo vorrei che ci riscoprissimo fratelli e sorelle, che pacificassimo gli animi di una comunità frammentaria e divisa, tante volte incapace di custodirsi e poco allenata a volersi bene. Richiamandomi ancora al Vangelo, vi è l’esempio della venuta del padrone che piomba quando meno ce ne accorgiamo come un ladro che viene a scassinare la casa. È chiaro che il Signore non è un ladro. I veri ladri sono i servi la cui disonestà sta nel loro cuore addormentato che non si lascia interpellare e formare dalla Parola di Dio. San Cataldo faccia sì che non capiti così a noi. La festa di oggi ci insegni a gioire per le gioie altrui, vincendo su egoismi ed arrivismi, perché una comunità è tale solo se aperta a tutti, inclusiva responsabile. Sia così per Taranto e la festa sia occasione di incontro perché nel segno di Cristo siamo chiamati a ritrovarci come comunità felici di appartenere a questa città, a questa terra e a questo mare.
San Cataldo prega per noi!
† Ciro Miniero
arcivescovo di Taranto