L’allocuzione dell’arcivescovo Ciro Miniero per la festa di San Cataldo
Carissimi fratelli e sorelle,
in San Cataldo rifulge il sacramento di Cristo buon pastore che attraverso i suoi santi si prende cura di noi, ci difende e soprattutto dona a noi la vita, la sua stessa vita.
Sono grato per queste belle testimonianze di fede di cui continuo a fare esperienze nella nostra amata Taranto. Dico nostra non solo perché il Signore mi ha dato in sposa questa Chiesa millenaria, ma perché sono oltremodo affascinato dal bene con cui voi tarantini mi avete accolto, che dal primo giorno mi manifestate affetto sincero. Spero di fare tanta buona strada con voi!
La novena a San Cataldo è stata sempre partecipata, potremmo dire che, prima di essere visitato, il patrono ha visitato nella peregrinatio le nostre vicarie.
La devota partecipazione ha confermato un legame con questo uomo del VI secolo che non conosce oblio ma che rimane costante nei credenti di questa terra. Perché sottolineo «uomo del VI secolo?». L’altro giorno mentre in cattedrale guardavo la platea di ragazzi silenziosi attenti nel convegno della Giornata Cataldiana della Scuola sull’intelligenza artificiale mi chiedevo cosa potesse dare loro la vicenda di un uomo di 1400 anni fa. I giovani sono raggiuti da un futuro di cambiamenti sempre più epocali e veloci e giustamente anche preoccupanti. Poi la risposta l’ho intuita nelle nostre processioni. Persone di ogni età guardano a questo meraviglioso simulacro argenteo. Lo facciamo non perché siamo idolatri. L’idolatria dei nostri giorni non è rivolta alle icone sacre, abbiamo imparato a riconoscerle come piccoli segni che ci aiutano a godere dell’Incarnazione del Verbo e del suo ingresso per sempre nella storia degli uomini. Sono altri gli idoli che subdolamente e permanentemente presiedono all’infelicità come nemici di comunione. Seguiamo san Cataldo perché interiormente vorremmo tutti una goccia di quella brillantezza. Ognuno vuole quella scintilla di luce che si chiama santità.
La santità è un dono che Dio ha posto in noi dandoci la vita, chiamandoci per nome a sé. Quella scintilla di luce che fa gioire il cuore voglio augurarla a tutti voi, desidero sia custodita a favore di questa città.
Nel discorso di consegna della statua al sindaco ho voluto richiamare al valore della comunione civile ed ecclesiale.
Non è un auspicio di circostanza, La comunità è un dovere. I cristiani specialmente riconoscono nella comunione il cuore della preghiera del Signore, il suo testamento, la sua grande ambizione, ovvero farci divenire un cuor solo e un’anima sola.
Il segno della festa è il popolo unito verso Dio.
San Cataldo si lascia trattenere sulle coste ioniche da un popolo, quello tarantino, che aveva bisogno di lui. Il suo insegnamento è più che mai attuale perché impegna se stesso per questa Chiesa non aspettando che tocchi a qualcun altro.
Egli ha detto «tocca a me» e lo ha fatto dimentico della sua terra natìa, portando le ragioni di Cristo prima di qualunque altra cosa.
Prendendo esempio da lui noi non dobbiamo incrociare le braccia. Mi sto rendendo sempre più conto degli affanni di Taranto, ma non mi stancherò di spronarvi ad attuare una narrazione diversa di questa città. Sappiamo cosa ha patito e cosa patisce, sappiamo l’enorme potenziale inespresso, sappiamo che è soffocata da interessi che la sovrastano e la offendono sacrificandola in nome del profitto, ritenendola beffardamente strategica sempre per gli altri e non per noi. Ma ogni cristiano deve dire «tocca a me» occuparmi di Taranto non rallentando il processo di cambiamento con stucchevoli fatalismi lamentele o nella caccia dei capri espiatori di turno. Sono tarantino da pochi mesi eppure ho gioito e mi sono sentito paternamente orgoglioso quando ho appreso la notizia che figli di questa terra si sono distinti nel campo della musica e del cinema. Hanno raccontato il dolore attraverso la bellezza dell’arte narrando una Taranto ferita, ma non uccisa, e quindi capace di riscattarsi.
Ognuno deve dire «tocca a me» nel rimuovere vecchie muffe che incrostano istituzioni e modi di fare e che talvolta rendono questa città provinciale, autoreferenziale e con le spalle al mare, questo mare che invece ci dice che il futuro è sempre al largo.
Questa è la nostra vocazione: affrontare le tempeste con l’anello della fedeltà a Dio e a Taranto perché nei flutti salati sgorghi l’acqua dolce. C’è un miracolo di San Cataldo di cui nessuno parla, nemmeno nei cicli pittorici della nostra magnifica cattedrale ma che è invece raccontato da ogni pietra della nostra basilica.
Il miracolo è che il vescovo Cataldo ha sposato Taranto rimanendovi fedele, non è fuggito, l’ha amata, è rimasto qui donando la vita. Questo miracolo lo dobbiamo compiere tutti!
Tocca a me, tocca a ciascuno.
approdato sulla nostra terra,
messaggero della misericordia di Dio,
percorri con noi le strade
e i mari di questa città
che affidiamo alla tua paterna intercessione.
Entra nelle nostre famiglie con la tua benedizione;
rema con i pescatori affaticati;
siedi a mensa con i poveri;
porta per mano i fanciulli e i giovani.
Presenta al padre le nostre gioie,
le nostre sofferenze e la speranza di una pace perenne per noi e per il mondo intero.